venerdì 19 aprile 2024
Racconti Drammatici

La Signora dei colombi

Ogni pomeriggio, puntuale, prima che la sera scendesse sulla città, la Signora dei colombi
tornava a casa. Arrivava dall’angolo in fondo alla strada con passo pesante e il corpo esile piegato
sotto il peso di due grosse borse di stoffa. Vestiva di nero come una monaca, il capo coperto da un
fazzoletto scuro, lasciava scoperte solo le mani rugose e il volto segnato ,scurito dal sole di chi vive
all’aria aperta. Nel viso grinzoso due occhi piccoli e bui brillavano vivacissimi.
Cristina l’aspettava dietro i vetri della finestra e ogni pomeriggio era testimone di un rito che l’incuriosiva e la spaventava. La vedeva arrivare barcollante sotto il sole morente dell’estate o fradicia sotto la pioggia sferzante dell’inverno. Camminava sempre senza fretta, a piccoli passi e impiegava un’eternità prima di raggiungere le scale della chiesa. Saliva lentamente gli scalini e giunta su , sotto l’ingresso chiuso, lasciava cadere le grosse borse e si dava da fare. Finalmente era giunta a casa sua e sullo scalino corroso dal tempo dava vita ad uno spettacolo d’intimità familiare come se alte pareti la difendessero da sguardi indiscreti. Gli occhi di Cristina, però, di ragazzina attenta e curiosa ,seguivano partecipi ogni suo gesto
La Signora dei colombi si sedeva sul gradino e apriva le sue enormi borse. Dalla prima tirava fuori ritagli di stoffa di ogni forma e misura, dai colori più svariati. Li toccava, li osservava, li allungava all’aria, li richiudeva, quelli più morbidi, nel pugno della mano, poi ricomponeva tutto e richiudeva l’enorme borsa unendo i lembi del lenzuolo in un artistico fiocco. Dopo un attimo di pausa tirava verso di sé l’altra borsa da dove veniva fuori una grande quantità di pane, piccoli o enormi pezzi di pane raffermo che lei raccoglieva per i suoi colombi. Soddisfatta soppesava i tozzi , poi ne sceglieva uno e lo poneva nella tasca della sua lunga veste, quindi richiudeva e l’abbandonava accanto all’altra.
Cristina osservava vigile quel bellissimo gioco e ogni giorno le sembrava nuovo e diverso. Dopo il controllo delle borse la Signora mangiava a piccoli morsi il pane che aveva conservato, poi si preparava per la notte. Da un sacchetto che portava sulla spalla tirava fuori un pettine e snodava il fazzoletto che le copriva il capo. I capelli sciolti venivano raccolti sulla testa in un’esile treccia.
Era ora. Stringeva a sé le borse, si raggomitolava in un angolo del portone e cosi’ restava tutta la notte. Nel buio della sera era solo una macchia nera nell’oscurità , Cristina mentalmente le augurava la buonanotte e zitta spariva nelle altre stanze. Spesso al mattino ritornava alla finestra, ma la Signora non c’era più. Le avevano, poi, raccontato che vagava per il centro storico tutto il giorno in cerca di pane per i suoi colombi che l’aspettavano per il pranzo quotidiano. A mezzogiorno, prima che la Signora arrivasse, centinaia di colombi dondolandosi sui fili della luce, accovacciati sotto le grondaie delle case davano uno spettacolo d’impaziente attesa. Silenziosa, come sbucata dal nulla arrivava in Piazza del Gesù e a piene mani distribuiva migliaia di briciole di pane. I colombi l’assalivano affamati, volando impazziti sulla sua testa, intorno alla sua veste, abbozzava un sorriso e si confondeva tutta nera tra le piume dei suoi piccoli amici.
Quell’inverno sulla città cadde la neve insolitamente. Una sera freddissima Cristina vide la Signora addormentarsi sotto un telo impermeabile, al mattino la trovarono là al suo posto, tutta avvolta su se stessa fredda come il marmo. La Signora dei colombi se ne andò in silenzio, come aveva vissuto. Qualcuno raccolse le sue borse, un altro avvolse il corpo in un lenzuolo, in pochi minuti la portarono via. Cristina seppe e per molte sere dalla sua finestra attese il solito spettacolo, ma la sua amica non c’era più: il gioco era finito.


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