martedì 23 aprile 2024
Racconti di Fantasia

LA PIU' BELLA STELLA

C'era una volta un giorno come tutti gli altri, o almeno così sembrava.
Nei miei polmoni penetrava sempre la solita aria, ma nel mio cuore e nella mia mente sentivo qualcosa che si muoveva e che mi fece chiudere gli occhi.
Erano la voce del cuore e quella della mente che stavano dialogando in una lingua da me sconosciuta.
Aprì gli occhi, e vidi un uomo davanti a me.
Era anziano, ma giovanissimo; barba bianca,ma capelli biondi.
Era seduto su una panchina, ed era vestito tutto di color azzurro. Mi fissò con quegli occhi altrettanto azzurri,e mi fece cenno di avvicinarmi.
Non appena il mio corpo fu a pochi centimetri dal suo, iniziai a tremare. Paura? No,era emozione.
Mi fissò nuovamente, ed iniziò a parlare:
"Sono anni che la cerco, ma ormai ha cambiato abitazione. La pioggia è l'insieme delle lacrime che verso, per la sua assenza; le nuvole sono il risultato di momenti tristi, tuoni e lampi la conseguenza di attimi dolorosi.
Sto parlando di una stella, quella che brilla nel firmamento dei miei pensieri, ma che ormai posso solo guardare da lontano. Il Sole è il mio fratello più caro, che viene a trovarmi con un cannocchiale, per permettermi di vederla più da vicino. Parlo di quella stella, l'unica che vive sulla Terra, che ogni tanto va a trovare il mare, ma non viene mai da me".
L'uomo iniziò a piangere, e una nuvola nera fece da tetto all'intera città. Poi il misterioso personaggio riprese a parlare:
"Nel suo Pianeta d'origine provocava solo l'invidia delle altre stelle; nessuna è bella come lei. Poi ho visitato il vostro mondo, ed ho capito che in mezzo alla falsità, ai pregiudizi, e al resto di cose orribili, una come lei è l'ideale. Sono qui perché mi hanno indicato la strada per trovarla; quella strada mi ha portato a te.Ti chiedo allora di non abbandonarla mai, e di non fare spegnere mai le luci che la rendono viva; le stesse luci che rendendola viva, rendono vivo chi ne conosce l'esistenza.
Ti affido questa stella e concludo questo monologo senza presentarmi. Lascio che il tuo cuore e la tua mente un giorno ti confessino chi sono".
D'improvviso una giornata d'inverno sembrò tramutarsi in un giorno d'estate; c'era il Sole e c'erano gli uccellini. L'uomo senza identità scomparve, ed io mi incamminai verso la strada senza meta.
Fra una striscia pedonale e un'altra, dissi a me stessa che il signore di pochi minuti prima, non poteva che chiamarsi "CIELO".


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Diario

Sono nato il 16 Novembre del 2976, in un piccolo paesino, di una nuova isola. Questo è il mio sedicesimo "passaggio" sulla Terra. Ogni volta è diverso, un nuovo padre, una nuova madre, nuovi fratelli. Non sempre si è fortunati, alcune volte ci si ritrova soli, senza una casa, senza niente da mangiare e con troppa indifferenza intorno. Non tutti ricordano le loro vite passate, ma questo accade perché sono state talmente inutili, che anche se riuscissero a ricordarle niente in loro cambierebbe. Chi ricorda impara, ed è più sensibile alle sofferenze dei meno fortunati. Pian piano con il passare dei giorni mi ritornano in mente ricordi della mia vita precedente. Deve essere stato parecchio tempo fa perché c'era ancora il sole.

12 Settembre 2996 Oggi ho ricordato il suo volto e i bellissimi momenti passati con lei. Da oggi la cercherò. Sono felice. Anche lei, forse, starà cercandomi. Ricordo quello che ci disse un vecchio indiano emigrato nel nostro paese: "Quando uno di voi ricorderà, deve prendere un pezzo di legno morbido, farne un bracciale e scrivere il nome della persona amata. Il bracciale vi aiuterà a ritrovarvi.". Domani andrò nel bosco a cercare il legno per fare il bracciale.

22 Novembre 2996 L'ho ritrovata. Aveva un fazzoletto legato sui capelli che le copriva un po' il viso, sembrava spaventata, camminava a passo svelto sul ponte di pietra che scavalca il fiume, diretta verso il bosco. Era sicuramente lei, il suo volto è l'unico che ricordo, e dopo anni quel che provo non è cambiato. Mi ha guardato con quegli occhi che più volte mi hanno sorriso, ma che adesso gridavano aiuto. Non sono riuscito a vederla bene, ma sono certo che non indossava il bracciale, che a me aveva permesso di ritrovarla. Non so se ricorda qualcosa della sua vita precedente, se ricorda il mio volto, ma sicuramente la mia presenza le ha suscitato un'emozione. Forse la nostra più grande paura , quella di non ricordare, è diventata realtà. Ho paura di perderla, di perderla per sempre...

25 Novembre 2996 L'ho seguita. Vive da sola, in una piccola casa di legno nascosta tra gli alberi. E' un posto difficile da raggiungere. Sono tornato più volte lì aspettando il momento giusto per parlarle, ma lei è così triste e spaventata. Quando esce di casa mette sempre un fazzoletto sul capo, come se non volesse far vedere il suo viso.

8 Dicembre 2996 Anche oggi sono andato vicino la sua casa. Sono stato lì ore a guardare la porta sperando di vederla. Dopo diverso tempo la mia attesa è stata premiata. E' uscita di casa e si è seduta sulla riva del fiume che scorre a pochi metri da lì. Per la prima volta non aveva il fazzoletto sul capo, era bellissima. Piangeva stringendo qualcosa nelle sue mani, che poi ha lanciato con rabbia nel fiume. Era il bracciale! Anche lei aveva costruito il bracciale! Anche lei si è ricordata di noi! Ma non mi ha mai cercato! Perché...

9 Dicembre 2996 Ho bussato alla sua porta. Quando mi ha visto è scoppiata in lacrime e singhiozzando ha gridato il mio nome. Erano 122 anni che aspettavo questo momento, dall'ultimo saluto a ISLA D'OR nella casa al mare, quando in una notte limpida le nostre vite stavano per separarsi. Mi ha spiegato il motivo di questo suo isolamento. E' il suo ultimo passaggio sulla terra, e chiunque la amerà, come lei non potrà più rinascere. D'un tratto ho provato tutte le sue sofferenze, tutta la sua solitudine, tutto il suo amore, e non ho avuto più paura.

10 Dicembre 2996 Non rinascerò più.


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Humantoys

L'unica sensazione che Mike stava provando mentre si svegliava erano dei tremendi crampi allo stomaco. I suoi occhi erano ancora chiusi. Poco per volta si rese conto di altre sensazioni: sentiva l'amaro sapore in bocca tipico di quando ci si è appena svegliati, gli faceva male una guancia, come se fosse appoggiato su di una grattugia.
Aveva anche una strana paura, sapeva di aver fatto un sogno che lo aveva scosso ma non ne ricordava i dettagli.
La sua testa era ancora nella penombra, ma il barlume di pensiero di quel sogno lo attanagliava come una morsa. Avrebbe voluto potersi svegliarsi completamente al solo click di un interruttore, o di un mouse..
Gesù! Il mouse, la tastiera, il monitor..era in ufficio! Come aveva potuto addormentarsi in ufficio?! Otto anni di lavoro come programmatore e non gli era mai successo. Ricordava il periodo del progetto "Eagle", in cui tutto il suo team aveva lavorato per un mese dalle sette del mattino alle due di notte, sabati e domeniche incluse. Tanto caffè e un mare di nicotina, ma non si era mai addormentato sulla scrivania. Si, adesso era decisamente sveglio. Questa scoperta lo aveva sconvolto: non sapeva darsi una risposta. Chiunque di fronte ad un problema del genere, peraltro non grave, cercava mille scuse: lo stress, un calo di zuccheri, l'inquinamento, qualsiasi cosa potesse alleviar loro la coscienza. A lui non venne in mente nulla: dindon! Seconda cosa anomala, lui era un maestro di scuse: da sei mesi rincasava tardi il martedì perché giocava a biliardo con i colleghi e per sei mesi aveva inventato scuse a dir poco geniali: lavori improvvisi, ospiti dal Giappone, ecc.
Sua moglie non sapeva nulla e nemmeno sospettava…moglie..moglie… bionda.. bruna… Mary…Mindy… Mandy! Sua moglie si chiamava Mandy!
Cercò di contare quanti secondi aveva impiegato per ricordarselo:due,due e mezzo, no tre, decisamente tre! Come è possibile che dopo tutti quegli anni di matrimonio… anni.. quanti anni?
Improvvisamente fu il terrore. Non si ricordava il nome di sua moglie, adesso neppure da quanto tempo era sposato. Perché? Gli vennero in mente le cose peggiori: lo stress, un calo di zuccheri, l'inquinamento, forse potevano causare anche amnesia?
Di colpo gli venne in mente il sogno che aveva fatto poco prima di svegliarsi.
Era nella sua casa al lago, una piccola casetta di legno nel Maine.
Suo padre gli aveva chiesto di prendere delle bottiglie in cantina, lui era sceso dalla scala, aveva attraversato la porticina e si era messo a cercare le bottiglie.
La parete era piena di bottiglie, ma tranne quattro o cinque le altre erano vuote. Impolverate, ben tappate, ma vuote. Ne prese una in mano e il fondo si illuminò. Preso dal terrore la lanciò a terra. La bottiglia esplose con un incredibile fragore, il fragore che lo aveva svegliato.
Si rese conto che tutti questi suoi pensieri erano avvenuti ad occhi chiusi. Era ora di riaprirli, anche se aveva un'insana paura di ciò che avrebbe potuto vedere. Troppe cose strane erano successe un quei due o tre minuti, cosa sarebbe successo aprendo gli occhi? Il mondo era ancora lì? Prese coraggio e lo fece: aprì gli occhi. Mai era stato così felice di vedere il suo monitor, la sua scrivania, i piccoli oggetti con cui ognuno addobba il proprio posto di lavoro.
Si alzò per guardare le mensole, i ripiani, le scartoffie, per toccare le puntine che tenevano alcuni fogli sulla piccola bacheca di sughero, quando tutt'a un tratto la forza gli mancò nelle gambe e ricadde a peso morto sulla sedia. Un portapenne di cartone dipinto su cui una mano malferma aveva scritto "Ti voglio bene papà!", con due cuoricini rossi che sembravano occhi lo guardava. Papà? Lui era un papà?
Di colpo volle alzarsi, voleva parlare con qualcuno, lo avrebbero preso per matto ma almeno avrebbe avuto qualche scampolo di certezza. Si alzò così di scatto che ebbe un piccolo calo di pressione e la vista gli si annebbiò. Quando gli tornò ebbe un brivido: le sue ben poche certezze continuavano a sgretolarsi: il grande open-space in cui lavoravano di suoi quasi venticinque colleghi era vuoto.
La paura durò solo un istante, dopo il quale esplose in un riso nervoso e liberatorio. Aveva dormito, chissà che ora era, comunque era molto plausibile che l'ufficio fosse vuoto dopo l'orario di lavoro! Dopo qualche secondo si voltò, ancora ridendo, verso l'orologio a muro. Segnava le quindici a venti. Non pensò neanche che potesse essere fermo, la grande lancetta dei secondi batteva inarrestabile sotto i suoi occhi.
Era un tipo assai professionale, in quella situazione i suoi terrori venero spazzati dal pensiero del lavoro, forse c'era una riunione, un'assemblea dei dipendenti e lui addormentato la stava perdendo. Era infuriato con i suoi colleghi che non l'avevano avvertito. Si mise a correre lungo il corridoio fino al pianerottolo degli ascensori. Premette il pulsante e, con un gesto istintivo che faceva tutte le sere prima di uscire guardò fuori dalla grande finestra del pianerottolo.
Dall'altra parte della strada c'era la Scott Tower, un grattacielo di oltre settanta piani. Da quella finestra si vedevano una dozzina di piani per una quindicina di uffici in orizzontale.
Quando usciva tardi la sera si divertiva a contare le luci ancora accese, scommettendo dopo un rapido sguardo se fosse un numero pari oppure dispari.
Ciò che vide quella volta fu solo cielo, sentì un colpo venire dal suo petto e svenne.

* * * *

Impossibile dire per quanto tempo rimase incosciente. Quando si risvegliò il ricordo delle pene patite ad occhi chiusi la volta precedente lo fecero drizzare in piedi con uno scatto felino. Aprì immediatamente gli occhi, guardò la porta chiusa dell'ascensore e rimase a pensare.
"Un allucinazione, non c'è altra spiegazione! Per una impossibile ragione ho avuto un'amnesia e delle allucinazioni!"
Respirò profondamente e senza esitazione pensò alla sua famiglia: la sua splendida biondissima moglie Mandy lo stava sicuramente aspettando a casa, dove appena entrato la piccola Casey lo avrebbe abbracciato lasciando cadere la bambola che aveva in mano.
Vide mentalmente la scena a provò una gioia incontenibile. Scoppiò in un'altra risata liberatoria. Non era pazzo! Non aveva perso la memoria! Probabilmente sarebbe andato dal medico a raccontare questa storia, ma la sua vita c'era ancora, non l'aveva persa sotterrata nella mente.
Il suo riso si stava spegnendo, quando pensò alla Scott Tower e si girò verso la finestra. Il cielo era lì ad aspettarlo.
Cominciò a sudare, a respirare affannosamente, i tre passi per raggiungere la finestra gli sembrarono un milione di scalini.
Appoggiò i palmi delle mani al vetro e guardò giù. Il palazzo della azienda in cui era così fiero di lavorare si trovata circondata da un immenso oceano.
Corse verso la finestra nel lato opposto. Stesso stupendo (in un'altra vita) panorama.
Difficile descrivere cosa passò per la sua mente. Il suo cervello sembrava un'auto impazzita, che si dirigeva verso le direzioni più disparate senza un senso. La sua mente, così razionale e precisa stava vagando alla deriva.
Come un automa si diresse verso l'ascensore e premette il pulsante.
La porta si aprì, entrò e scese al piano terra. Attraversò l'atrio deserto, uscì dall'ingresso e sentì una strana consistenza sotto le scarpe. Il marciapiede dove solitamente si affollavano passanti, da dove si sentiva il rumore di auto, taxi, autobus, clacson, sirene, grida non c'era più. Al suo posto solo una striscia di una decina di metri di sabbia tutt'intorno all'edificio. L'unico suono che giungeva alle sue orecchie, delle quali peraltro non si fidava più, era lo scroscio delle onde sulla riva. Un suono che tante volte lo aveva cullato nei momenti romantici con Mandy e che ora sembrava il cigolio della porta dell'inferno. Si lasciò cadere sulla spiaggia e svenne di nuovo.

* * * *

"Mark! Sbrigati! La cena è pronta!".
"Arrivo mamma!".
Mark stette qualche secondo a pensare a cosa fare, spegnere il personal e ricominciare dopo o lasciarlo acceso. Stava per premere l'interruttore quando suonò il telefono.
"Mark sei tu ?".
"Ciao Freddie! Stavo per chiamarti poco fa ma.. accidenti, non riuscivo proprio a staccarmi dal PC, dopo aver disegnato il palazzo ho attivato la nuova funzione e… cazzo,grandioso!".
"Che tipo di profilo simulato hai inserito?".
"Un impiegato, era tra i default dell'edificio."
"Solo un elemento pseudo-vivente?"
"Si, solo uno."
"Cazzo, io ne ho sempre messi almeno tre, ma tu sei veramente un bastardo!"
"Che ti frega, sono macchine!"
"E come è andata?"
"Mah, non lo so, ha girato un po' per l'edificio, si affacciato alle finestre, penso di non aver ancora scoperto alcune funzioni!"
"Premi Alt R e Alt T, ti si attivano i pannelli con i suoi pensieri e la sua situazione psichica, quando la barra in alto diventa rossa sta per dar fuori!"
"Se l'avessi attivata penso che avrebbe preso fuoco!"
Dal corridoio: "Mark! Allora ti muovi ! "
"Ciao Freddie! Devo scappare, ci vediamo più tardi in palestra!"
"Portami il tuo elemento su un floppy, voglio trasferirlo nel mio villaggio paleolitico…."

* * * *

Quella sera i genitori di Mark stettero un po' a chiacchierare nel letto prima di addormentarsi.
Il padre sembrava perplesso.
"Cara, ma credi che sia veramente educativo quel nuovo videogame?"
"Non saprei, certo che mette i bambini a contatto con delle persone sempre diverse senza i pericoli di ogni giorni. Anche se sono simulate mi sembra un qualche genere di esperienza!"
"Sarà ma la cosa mi inquieta abbastanza. Voglio dire, fino a che punto sono macchine o da che punto diventano persone. Nascono, muoiono, pensano, soffrono, che differenza c'è tra noi e loro? Come possiamo determinare che non siano vive, mentre noi si?"
"Uffa, quanti problemi ti fai stasera, non ci pensare! Sono dei programmi, quando spegni il computer buonanotte!"

* * * *

Quando Mark riaccese il monitor impiegò una ventina di minuti per ritrovare l'elemento.
Alla fine lo ritrovò. Era nel suo ufficio, solo, impiccato con la cravatta al portante delle luci al neon. Le sue guance erano piene di lacrime.


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IL CASO SENZA NECESSITA'

L'evento in sé fu semplicissimo: al bimbo del primo piano, anni 8, cadde la palla dal balcone e rimbalzò gagliarda davanti ai piedi della signora del piano terra, anni 65. Il bimbo, col baricentro pendente sul vuoto, si congratulò con se stesso: "Che tiro, Dio, se ne facessi uno così tutti i giorni!"
La madre, acchiappatolo con fermezza, fu pure costretta a scamazzarlo di sculacciate mentre imprecava: "Ah 'sto brutto boia, Dio fai che non faccia mai più un tiro simile." La signora Zagnotti, vittima incolume del vile attentato, sul punto di svenire pregò: "Signore mio, che rischio ho corso! Allontana da me questi pericoli e se puoi anche quella infame creatura."
Ma la signora Turolla, che acquattata dietro le tende del terzo piano aveva seguito il fatto, con la pancia accartocciata dal ridere, gorgogliava: "Oh Dio, ancora, ancora, fammene vedere un'altra così!"Non altrettanto ben disposto, il marito della quasimorta scampatapermiracolo, in veste di Gran Collerico Condominiale, ululava: "Che Dio li strafulmini, loro e il dannato piccolo delinquente!"Intanto, la Vecchietta Buona sulla panchina, nonna in via d'estinzione dei fortunati gemellini Pappa & Pipì, scuotendo la testolina canuta cinguettava: "Dio benedica i bambini vivaci e chi li mette al mondo!"Gli sposini nella mansarda rientravano in quel momento e non fecero commenti perché nelle risse fra inquilini erano ancora dilettanti. Lui pensò: "Dio, come odio le stronzate dei bambini: che non me ne trovi mai fra i piedi." E lei in contemporanea: "Dio, come amo le birichinate dei bambini: fammene avere 3 o 4." Un cineamatore del palazzo di fronte aveva casualmente filmato la scena e andava compiacendosi: "Ma perché agli altri capita di riprendere omicidi, stupri, quantomeno scippi, e a me una cagata siffatta? Dio, che cose stupide mi riservi, ma ce l'hai con me?" Invece la casalinga dell'ultimo piano, che giocava a fare la scrittrice fra un soffritto e un rammendino, esclamò: "Dio, troppo divertente, ci devo fare sopra un racconto."
E poiché la palla si era abbattuta su di un drappello di formiche cariche di un quarto di bruco, provocando lutti e scompiglio, le sopravvissute si sparpagliarono scioccamente e con le loro vocine lamentose gridarono: "Oh Dio, con quale grande ingiustizia ti accanisci contro di noi!"
Non così un merlo, che inghiottito il brandello tuttora molle e succoso, fischiettò: "Oh Dio, che fortuna insperata mi regali!" A questo punto l'Onnipotente, che si era sintonizzato su quel minuscolo palazzone per rilassarsi un attimo fra una guerra di qua e un'alluvione di là, decise: "Gran Me, la diretta è diventata proprio insopportabile." e spense la radio. Passò all'ascolto in cuffia e per star nel sicuro andò sul classico con S. Francesco, Live at La Verna, "Good Sister Water".
Così non potè captare, e fu un peccato perché probabilmente l'avrebbe esaudita, una preghiera breve ma accorata: era la voce del capitano Johnny the best, in volo sul suo cacciabombardiere Snow Dove per una ricognizione pacifica condizionata sull'Ucraina. Come sempre, in tal genere di missioni di routine, portava tre bombe H a scopo precauzional-deterrente, ma in fondo era un brav'uomo; pur obbedendo ciecamente a qualsiasi ordine, se si trattava di ordini davvero fetenti gli dispiaceva un po' .
Così, quando, inchiodato da un infarto non programmato, sentì di accasciarsi sul pannello di comando, non si vergognò di invocare: "Oh Dio, no." Ma nessuno lo sentì, e nessuno nell'universo seppe mai, ma forse a nessuno sarebbe importato, che la prematura scomparsa del grazioso, petulante pianeta verde fu tutta colpa della palla di Stupazzoni Federico Mattia.


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I colori dell'Iride

Troppo buona , come al solito,
la maestra Rita continuava a spiegare , incurante del caos che regnava nella sua classe.
"L'arcobaleno è quel fenomeno di dispersione ottica che ci rivela i numerosi e smaglianti colori di cui è composta la luce bianca del sole. Esso è formato da minuscole gocce d'acqua in sospensione che agiscono
da prismi e scompongono la luce in sette colori :
azzurro ,indaco ,violetto, giallo, verde , arancio e rosso."
Ma per Christian l'arcobaleno, quello che si sforzava di sognare ogni sera a letto, era ben altro ,forse, a pensarci bene, solo un'insensata lotta con se stesso.
Christian ,in sogno , riusciva sempre a mettere l'arcobaleno sopra la testa di Maya , la bambina con la quale trascorreva le ore più piacevoli della giornata e poi , sotto Maya e l'arcobaleno appariva quel mare immenso e cristallino su cui far rimbalzare le piccole pietre parlanti.
Ma c'erano quelle maledette, minuscole porte a rovinare tutto … Una porta chiusa incastrata nel verde e una aperta nel rosso … ed egli non riusciva a resistere , doveva per forza entrarci lasciando fuori l'aura
primaverile , Maya e i colori stessi dell'arcobaleno.
Vane erano le parole delle piccole pietre che cercavano in tutti i modi di dissuaderlo.
Allorché si preparava ad entrare nella porta incastrata nel rosso, un uomo dalle membra
robuste ,alto e privo di lineamenti lo fermava : "Se vuoi entrare, dimmi : perché la luce sembra rossa quando abbiamo gli occhi chiusi ?"
La maestra Rita aveva spiegato questa strana cosa , ma lui non ricordava .
Era così costretto ad abbandonare il rosso e provava col verde.
Apriva la porta ,ma uno strano essere alto, anch'esso senza volto, dalla pelle verde , lo fermava :
"Se vuoi entrare dimmi le sette meraviglie del mondo …"
La maestra Rita , un giorno, le aveva elencate , ma lui non ricordava .
Avvilito , si sedeva sotto l'arcobaleno , senza Maya , senza l'aura primaverile e vedeva un pony bianco alato allontanarsi sempre più.
Il sogno finiva e iniziava la faticosa giornata di scuola .
Un giorno Christian pregò la maestra di elencargli di nuovo le sette meraviglie del mondo e di svelargli perché la luce ci appare rossa quando abbiamo gli occhi chiusi .
"La luce ci appare rossa quando abbiamo gli occhi chiusi, perché passa attraverso i tessuti di cui anche
le palpebre sono costituite e questi tessuti sono permeati da una fitta rete di capillari.
Tutto qui Christian. Per quanto riguarda le sette meraviglie del mondo , sono :
la grande Piramide d'Egitto , il Faro di Alessandria , il Mausoleo di Alicarnasso , il Tempio di Diana a
Efeso , la Statua di Giove a Olimpia , i Giardini pensili di Babilonia e il Colosso di Rodi.
Ma come mai tutto questo interesse ?"
Non rispose alla domanda , ringraziò la maestra Rita e scappò verso casa .
Sulla strada incontrò Maya :
"Stasera entrerò nel verde e nel rosso", disse salutandola frettolosamente con un bacio sulla guancia e la ragazza naturalmente non poté capire.
Ma quella sera , nel sogno, il verde e il rosso dell'arcobaleno non avevano più porte.
Christian restò prima sorpreso, poi deluso ; non si accorgeva che il pony bianco si avvicinava sempre di più
a lui e a Maya : Maya lo prese per mano e i due , protetti dalle lunghe ali di un albatro urlatore , volarono
sul pony bianco , lasciando cadere le piccole pietre parlanti.
Christian da quel sogno , mi piace pensare , non si risvegliò mai.


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