giovedì 18 aprile 2024
Racconti d'Orrore

BUIO

DI NOTTE, MENTRE DORMI, NON FARTI INGANNARE DAL SILENZIO.
NEL BUIO, DA QUALCHE PARTE, ANCHE SE TACE, C'E' QUALCOSA CHE SI STA MUOVENDO.
CHE TI BRACCA.
TI OSSERVA.
E ASPETTA IL MOMENTO BUONO. L'ATTIMO GIUSTO.



-Buonanotte, io vado a dormire!- esclamai, esausto.
-Buonanotte tesoro, tra poco arriverò anch'io.-
-Ok, ciao mamma- salutai.
Feci la rampa di scale che congiungeva il salotto e il corridoio. Lo percorsi, aprii l'ultima porta a sinistra ed entrai. Guardai il letto vuoto di Ross, era uscito coi suoi amici. Io non potevo, ero ancora troppo piccolo.
Entrai quindi in camera mia. Feci tutto quello che ero solito fare prima di dormire e mi coricai. Osservai malinconico la foto di papà, partito due mesi prima per la Libia, impegnato in missioni umanitarie. Recitai la preghierina e spensi la luce della lampada sul comodino di fianco al mio letto. Solo da un paio di sere lo facevo, prima dormivo sempre con la luce accesa.
Mi rimboccai per bene le coperte, avevo solo il volto scoperto.
Chiusi gli occhi.
Dopo pochi minuti già dormivo.



ESCONO DI NOTTE, TRAMANO NEL BUIO.
NON HANNO ALCUNA PIETA'.
LORO VOGLIONO SOLO LA TUA MORTE, PER CONTINUARE AD ESISTERE.



Un debole rumore mi svegliò di colpo, il cuore in gola. Lo sentivo battere velocemente.
Era l'anta dell'armadio di fronte al letto. Era sbattuta.
Sgranai gli occhi, per cercare di vedere cos'avesse provocato quel rumore, ma era troppo buio; distinguevo a malapena il profilo del mobile.
Deglutii. Uno strano ticchettio molto pacato si era diffuso nella camera.
"Devo accendere la luce" ma avevo paura a tirare il braccio fuori dalle coperte, mie uniche protettrici.
Nel frattempo il brusio persisteva e, anzi, pareva essersi fatto più forte, più vicino.
Con un movimento fulmineo premetti l'indice della mano sinistra contro l'interruttore della lampada, che illuminò di colpo la stanza.
Nulla. Non c'era assolutamente nulla.
Guardai la sveglia, erano trascorsi appena dieci minuti da quando mi ero messo a letto.
E così appoggiai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi. Passò appena qualche secondo e il ticchettio ricomparve. Più che un ticchettio ora sembrava una risata, una risatina malvagia e crudele, si prendeva gioco di me.
Un brivido mi percorse la schiena, mentre il cuore riprese a battere all'impazzata, lo sentivo rimbombare nel petto.
Schiacciai nuovamente l'interruttore della lampada, ma con troppa forza: si accese per un istante, poi cadde, trascinando con sé il filo elettrico che andò a staccarsi dalla presa nel muro.
In quel flash di luce scorsi chiaramente muoversi qualcosa di nero, piccolo, forse anche peloso. Era di fianco al letto e mi stava fissando, con due minuscoli occhietti cattivi.
Il cuore mi stava per scoppiare nel petto, il terrore mi pervase, bloccando ogni mia capacità di ragionamento.
Volevo scendere giù e scappare, ma quella cosa era lì; mi avrebbe sicuramente preso prima che fossi riuscito ad accendere la luce del lampadario appeso al soffitto. Non ce l'avrei mai potuta fare.
Scrutai il buio, ma era troppo nero. Non vidi nulla, si stava mimetizzando. Era nel suo ambiente.
Comandava lui.
La risatina ricominciò a farsi sentire. Qualcosa mi toccò il braccio che avevo fuori dalle coperte. Era caldo e leggero.
Emisi un rantolio soffocato, e ritrassi il braccio, gettandomi sotto le coperte.
Stavo tremando, il pigiama madido di sudore.
Mi sentii accarezzare le gambe da sopra le coperte.
Mi aveva trovato.



SE TI HANNO INDIVIDUATO NON PUOI PIU' NASCONDERTI. NON SERVIREBBE A NULLA.
L'UNICO SCOPO DELLA LORO ESISTENZA SAREBBE QUELLO DI CATTURARTI. TI CERCHEREBBERO OVUNQUE.
E UNA VOLTA PRESO, NON AVREBBERO DIFFICOLTA' AD UCCIDERTI.
PERCIO' SCAPPA, CORRI PIU' IN FRETTA CHE PUOI VERSO LA LUCE.
SCAPPA.



La risatina divenne un soffio, alternato ad un gorgoglio; probabilmente mi stava annusando, per capire se ero una preda appetibile.
Faceva troppo caldo, non riuscivo a respirare. Dovevo uscire da lì sotto. Dovevo cercare di fuggire, ma avevo le gambe molli. E quella cosa era troppo vicina.
Senza pensarci, saltai giù dal letto, scaraventando il piumone sul pavimento. Iniziai a correre, attraversando la camera di Ross. Sbattei un piede contro uno spigolo della sua scrivania. Un dolore lancinante mi percorse la gamba. Zoppicando proseguii la mia fuga.
Sentivo il mostriciattolo dietro di me. Ora non era così silenzioso, sembrava quasi goffo, dai versi che stava emettendo.
Era sempre più vicino da me, sentivo quasi il suo alito caldo e acre sul mio collo.
In un attimo mi raggiunse, saltandomi in spalla. Urlai, cercando di staccarlo con le mani. Ma era molto forte, più forte di quanto mi aspettassi.
"Mamma, dove sei?"
Gridai ancora, per cercare di attirare la sua attenzione.
La porta di fronte a me si aprì rapidamente.
-Albert! Perchè stai urlando? Cosa fai nel corridoio?- gridò, spaventata.
Si abbassò su di me, abbracciandomi.
Cercai di calmarmi per riprendere fiato e raccontarle tutto.
L'essere era scomparso appena la mamma aveva aperto la porta, e un fascio di luce si era disegnato sul mio corpo.
-C'è un mostro nella mia stanza! E' piccolo, vuole uccidermi!-
-Albert...-
-Ti giuro mamma! E' la verità! Aiutami, ho paura!- ribadii.
-Albert...- disse spazientita -... hai dodici anni e credi ancora alla storia del babau?- mi sgridò.
-Ma è vero, vieni a vedere!- la esortai ansimando.
Ci alzammo da terra, forse l'avevo convinta, e entrai nella mia stanza, al buio.
Una mano mi spinse con forza all'interno, facendomi ruzzolare di nuovo sul pavimento.
La porta della camera si chiuse con violenza, e tre giri di chiave mi imprigionarono nel regno della creatura.
-Mamma!!- gridai disperato. Battei i pugni sull'uscio, ma era assolutamente immobile.
-Mamma!!-
-Mi dispiace Albert...-
La ascoltai con le lacrime agli occhi.
-... ma la cosa ha molta fame. Non vorrai mica che mangi la tua dolce mammina?-
"Cosa sta dicendo?..." pensai incredulo.
-Devi sacrificarti tesoro.-
-Nooo!!- mi catapultai contro la porta prendendola a spallate, ma pareva d'acciao.
-E' tutto inutile,è finita. Cioè.. .per te è finita. Io continuerò a vivere.- sussurrò.
-Mamma!! Nooo!- gridai, mentre sentivo la cosa avvinghiarsi a una gamba.
-E' stato un piacere averti partorito.
L'essere entrò nella mia carne, molto lentamente.
-Davvero un piacere.-


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BAMBOLE DI PEZZA

Che notte fredda! Va bè, credo che ora andrò a dormire, da quando Luca è morto la mia vita è diventata vuota... o almeno, vuota quando Robertino non è in casa o quando dorme, come ora. Anche se in un certo senso la sua morte è stata una liberazione, le sue bambole di pezza l’avevano fatto diventare paranoico, per lui esistevano solo loro nell’ultimo periodo. Litigavamo spesso, diceva che avrebbe preferito se io fossi stata una bambola: così mi avrebbe amata di più. Mi lasciò senza parole. Le cure furono inutili, da un lato mi manca ma dall’altro... almeno ora posso dormire tranquilla e Robertino anche.
Ora vado a rimboccargli le coperte...
Oddio! “Roby dove ti sei nascosto? E’ tardi non è ora di giocare! Devi dormire! Vieni fuori!”
Ma... cos’è questo strano rumore, proviene dal giardino! E’ la voce del mio piccolo che piange... oddio, devo correre fuori! Oh santo cielo... ma quello è, è Luca... no non è possibile, non può! Ma cosa fa al mio piccolo... “Luca lascialo! Luca ma tu sei... MORTO! Il tuo viso è... è completamente decomposto, che orrore! Luca lascia andare Roberto immediatamente! LASCIALO!” Oh no... i suoi occhi, hai cucito le sue palpebre... la sua bocca!! Ma come può..."
“Amore sono tornato perché ora potrò amarti di nuovo, ho fatto un patto con una persona speciale per riaverti, ma ad una condizione... dovrai essere la mia bambola”
“No Luca LASCIAMI ANDARE!”



Sono cieca, muta... ammassata su altri corpi vivi ma mutilati come o peggio di me, credo! C’è puzza di morte, e voci demoniache echeggiano per la stanza. Mi sento morire, mentre strani esseri mi usano come fossi un loro giocattolo. Forse è la mia cecità che mi mantiene viva, o forse i mugolii del mio piccolo che cerca la sua mamma...

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4)


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ANIME DANNATE

Emerse dalle tenebre.
Un cavaliere avvolto da un mantello nero su di un cavallo color del piombo.
La strada flagellata dalla pioggia. Accanto alla via, corvi neri gracchiano beccando e strappando carne da corpi inermi, distesi sul selciato.
Mietitori di morte.
Il cavaliere li oltrepassò senza fermarsi. La spada pendeva dal fianco sinistro e toccava l'armatura del cavallo. La guerra era passata anche da lì.
L'unico obiettivo delle creature era quello di macellarsi gli uni con gli altri.
E macellare gli umani, fu il pensiero del cavaliere.
Il mantello inzuppato dall'acqua, rendeva lenti i movimenti. Un urlo di donna si alzò nel cielo nero. L'uomo guardò avanti a sé e vide una giovane ragazza in ginocchio nel fango. Piangeva. Le braccia aggrappate ai brandelli di quello che prima doveva essere il suo uomo.
Morte era venuta e morte era passata.
Il cavaliere passò indifferente. La donna si alzò di scatto e si aggrappò agli stivali neri.
L'uomo a cavallo appoggiò una mano sulla testa della donna e sussurrò delle parole. La giovane si spostò e giunse le mani nell'atto di pregare.
Morte e desolazione, il pensiero fisso del cavaliere.
Le mura di una piccola città si stagliarono all'orizzonte. La pioggia frustava l'uomo e l'animale senza tregua. I due entrarono in città. Una piccola chiesa, semi-distrutta, giaceva al centro dell'agglomerato cittadino. Il cavaliere la raggiunse e si fermò a pochi passi dal portone.
Il deserto intorno a me.
Il prete scese da cavallo e si aprì lentamente il mantello. Una croce d'argento, legata al collo da una grossa catena, riflesse un po' di luce.
Iustitiae Deus, pregò in latino l'ecclesiastico vestito di nero.
Un rumore fece alzare la testa dell'uomo. Un'ombra all'interno della chiesa. Il cavaliere coprì i pochi metri che lo dividevano dall'ingresso. Entrò al riparo dalla pioggia. Il buio era opprimente, l'aria pesante. Preghiere in latino ruppero il silenzio. Due occhi fissarono la figura del cavaliere; un essere dall'aspetto umano emerse dall'ombra. Il prete lo guardò con odio e notò il marchio delle creature sul collo. Estrasse la spada dal fodero. L'essere che gli stava di fronte, snudò i lunghi denti aguzzi e scattò in avanti pronto a colpire alla gola. Il cavaliere fece un passo in avanti alzando la spada dal basso verso l'alto. Il vampiro si fermò di colpo; uno squarcio dal pube all'attaccatura dei capelli eruttò sangue. La creatura incespicò e cadde al suolo. L'uomo vestito di nero toccò la croce d'argento ed uscì dalla chiesa.
Morbo appestante che uccide l'uomo.
Pioggia raggelante, vento ululante nella notte. Il prete si coprì con il mantello e risalì sul cavallo. La notte era ancora lunga e le creature da "salvare" tante. La strada che portava al cimitero era distrutta, pozzanghere e rovi invadevano l'acciottolato. Il cancello che separava il "luogo dei morti" dal "luogo dei vivi", era stato staccato e gettato a terra.
L'inferno è sulla terra.
Alcune lapidi erano state capovolte; alcune erano addirittura scomparse. I cimiteri erano i luoghi preferiti dalle creature. Il buio era agghiacciante. Due ombre sulla destra. Il prete toccò la croce; pregò in latino ed estrasse la spada. I vampiri si mossero fulminei. La spada scintillò nel buio. Le tre figure si ritrovarono a danzare nella notte; la lama disegnava strane figure nell'aria. Qua e là il ruggire delle creature. I vampiri si avventarono sul prete che indietreggiò. La terra improvvisamente si aprì. Il cavaliere fu risucchiato dalle tenebre. Cadde pesantemente. L'aria sapeva di morte, decomposizione, umidità. Il respiro si fece pesante.
In nomine Patrii... Filii...
Il prete si rialzò a fatica. Il fiato appestante di una creatura.
Un grido.
Le mani del vampiro sulla gola dell'uomo; schiacciano e premono, l'aria esce dai polmoni. Le mani del prete cercano invano di allontanare la creatura. Troppo potente. La gola stretta in una morsa d'acciaio. Ad un tratto, altri due vampiri calano nel buco. Sei occhi puntati sulla gola del prete. Con un ultimo sforzo, il cavaliere si apre il mantello. La croce d'argento splende nel buio della cripta. Il vampiro lascia la presa e urla di sdegno. L'aria rientra nei polmoni ormai vuoti. La mano ritrova la spada. Sangue sprizza sul muro. Una creatura cade nella terra. I due vampiri rimasti si guardano atterriti. La spada cala facendo disegni con il sangue. Ansimante, il prete ripone l'arma nel fodero. Gli occhi ormai abituati alla penombra, intravedono una luce fioca provenire dal fondo di un corridoio. Con le gambe pesanti e il fiato corto, il cavaliere s'incammina verso la luce.
Tanfo e morte aleggiano nell'aria.
La falce della Signora in nero è passata anche da qui, pensa il prete trascinandosi stancamente.
Il corridoio termina bruscamente in una cripta enorme. Ragnatele decorano i muri. L'uomo si avvicina ad una tomba di marmo su cui campeggia la scritta "LE ANIME DANNATE REGNERANNO INDISTURBATE".
Un fruscio alle spalle. Ombre semi-umane, danzano sui muri.
Il prete sfila lentamente, con gesti voluti, il grande mantello nero che cade a terra. La croce tintinna sul petto.
Il Master Vladimir sussurra parole demoniache mentre il prete prega in latino.
I capelli neri di Vladimir toccano le spalle possenti; gli occhi castani guardano con odio e sicurezza il prete.
"Ti stavo aspettando" proferisce con voce profonda Vladimir.
Il tempo sembra fermarsi. Il corpo muscoloso del Master è completamente immobile; i due si studiano per un tempo immensamente lungo. Le gambe del vampiro scattano. Il cavaliere estrae la spada che scintilla nella debole luce prodotta dalle lanterne.
Il vampiro estrae uno stiletto dalla giubba di cuoio. Le due lame entrano in contatto; scintille balzano in tutte le direzioni. I respiri diventano affannosi.
Il prete sposta il peso sulla gamba destra e colpisce dal basso verso l'alto. Il Master salta come un gatto verso sinistra e lo stiletto penetra la carne dell'uomo appena sotto le costole. Il cavaliere riprende a pregare in latino.
Le anime dannate regneranno indisturbate...
... non questa sera.
Una torcia si spegne. Altre ombre mefistofeliche si aggiungono alla danza.
Il sangue cola sulla camicia nera del cavaliere. La mano guantata stringe più forte l'elsa della spada. Con un ruggito, Vladimir salta addosso al prete. Le lame entrano di nuovo in contatto. La spinta del Master è così violenta da far cadere l'uomo; la spada sfugge di mano scivolando sul marmo sporco di sangue e muffa. La litania in latino cessa; le varie cicatrici del cavaliere bruciano come fuoco su tutto il corpo.
Dammi forza... dammi sicurezza...
Il vampiro si avvicina con passi lenti; un sorriso si dipinge sulla faccia scheletrica. Lo stiletto penetra nella spalla sinistra del prete, perforando le ossa. La bocca si apre mostrando i denti aguzzi. Il Master si avventa alla gola dell'uomo; rivoli rossi scivolano lungo il collo.
Tutto giunge al termine...
Il vampiro urla di dolore e lascia la presa; la mano destra va a toccare l'ustione appena dietro la nuca. Gli occhi si dilatano per lo sgomento; il cavaliere si rialza a fatica da terra. Sporco di sangue, sfinito per le battaglie e la perdita del fluido vitale, guarda Vladimir negli occhi e sussurra: "Salutami le tue anime dannate e digli che presto porterò via anche loro".
L'uomo con un ultimo sforzo si butta sul vampiro calando la croce sulla faccia. Urla oscene percorrono i corridoi della cripta. Sanguinante, il Master barcolla all'indietro, toccandosi la faccia bruciata. Una lama penetra nel costato fino al cuore: un sussulto, un fiotto di sangue che esce dalla bocca; il corpo che si affloscia sul marmo umido. Il cavaliere butta per terra lo stiletto usato da Vladimir, ormai privo di vita.
Chissà se ne ha mai avuta... di vita...
Barcollando il prete si porta verso l'esterno della cripta; ombre semi-umane che danzano sui muri seguendo quella figura ormai priva di forze.


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L'ABITO BIANCO TROPPO STRETTO

Salì i gradini della vecchia casa, lentamente, facendo attenzione a non scivolare. Ancora un gradino e fu davanti all'ingresso. Una spinta e la porta cedette con uno scricchiolio. Un cono di luce illuminò la stanza.
Jasmine si tolse un ragno dai capelli e lo portò alla bocca.
Volse lo sguardo nella stanza: laggiù in fondo e come in un flash le apparve un albero di Natale, tanti pacchetti ed una bambina piangente.



La casa era lì e fra poco l’avrebbero demolita. Doveva far scomparire lo scheletro.
Nel giardinetto un gatto gli si avventò sul viso. Bestemmiò, lo prese per la collottola, lo sbatté a terra e con il tacco gli schiacciò la pancia facendone uscire le budella.
Una nube passò davanti alla luna. Un attimo d’incertezza ed entrò.
«Ciao papà!»
Sobbalzò, gli era sembrato di sentire la voce di quella strega.



Quando Jasmine aprì gli occhi si ritrovò con il vecchio giornale in mano.
“Ancora nessuna traccia della bambina scomparsa”
«Mamma!»
L’aveva presa tra le braccia senza accorgersi di stringere solo aria e se l’era appoggiata sulle gambe dondolando. Nanna nanna, nanna...»



«Papà sono qui!»
Di nuovo la sua voce.
«Non può essere lei, l'ho ucci...» esclamò mentre il sangue provocato dai graffi gli colava dal viso.
«Qui papà. In cantina.»
«Maledetta!» Doveva far sparire il suo scheletro.
Aprì la porta ed un coltello gli trafisse la schiena.
Rotolò e quando fu in fondo una famiglia di gatti si avventò su di lui. Cercò di scacciarli, lottò mentre si pascevano dei suoi occhi, delle sue mani. E del suo cuore. Poi il nulla.
Nel muro di fronte si era aperto un piccolo vano.



Anche mentre le infilavano “Quell’abito bianco troppo stretto” Jasmine continuò a dondolarsi. Nanna nanna...


Lo scheletro della bambina sogghignò.

(Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3)


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A BOCCA ASCIUTTA

Vago da settimane in questa desolazione, il pasto più lauto è stato un ratto dal sangue sudicio e amaro. Tra i colli brulli, irti di rovine, s’intravede una torre. Mi ci avvicino quasi per inerzia, lungi dallo sperare che qualche umano si annidi in una struttura tanto vistosa. Scherzi del destino, è la Torre della Profezia. Incredibile non averla riconosciuta subito: fino a che punto i miei sensi sono ottenebrati dal sangue degli animali! A parte il panorama intorno, la Torre non è diversa da quella notte di molti decenni fa, quando il nostro patriarca più anziano, sporgendosi dalla sua sommità, ci annunciò che l’Era delle Tenebre era giunta, giunto alfine il tempo per la Stirpe di Caino di uscire allo scoperto, piegare il genere umano, dominare il mondo. Quella notte in cui tutti noi seicento superstiti gridammo alle stelle la nostra sete di sangue e rivalsa. Stando all’ultima divinazione che ho sentito, adesso siamo ben diciotto milioni, vampiro più, vampiro meno. Umani, non più della metà, la maggior parte dei quali nei serragli. Sai che gusto, tirar fuori un ometto anemico dalla gabbia e ciucciare quel poco di vita che gli è rimasta. Quelli che non hanno più voglia di lottare non sanno di niente, ti lasciano solo il vago sentore di sapori ormai sepolti. Se avessi saputo che andava a finire così, mi sarei arruolato. Almeno quelli che hanno dato l’assalto alle ultime cittadelle umane si son levati la soddisfazione di un ultimo pasto decente. Guardo dal basso la sommità mendace della torre: credevo di vagare per scacciare certi pensieri, e invece cercavo solo il posto giusto. Piazzo il paletto a contrasto con una parete crepata, appoggio bene il petto sulla sua sommità di frassino aguzzo e lascio che il peso del mio corpo esausto faccia il lavoro. (Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4)

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