martedì 23 aprile 2024
Racconti di Natale

E' Natale!

Roberto Landi avanzava con passo svelto lungo una viuzza acciottolata, piuttosto stretta e silenziosa. Aveva sollevato il bavero del cappotto e lo teneva stretto con la mano destra per ripararsi dal vento pungente e gelido che quella sera sembrava avesse scelto il suo stesso tragitto. Il cappello ben calcato fino agli occhi contribuiva a renderlo una figura anonima nella penombra. I lampioni, fissati ad un alto muro di pietre, emettevano una luce fioca e rossiccia ed erano così distanziati l’uno dall’altro che, quando ne aveva lasciato uno dietro alle spalle, poteva osservare la sua ombra accorciarsi sempre di più fino a vederla scomparire del tutto nelle zone di buio fitto.
- In che razza di posto mi ha mandato! - brontolò indispettito quando una raffica improvvisa e più forte delle altre gli fece volare via il cappello. Lo raccolse e lo calcò con più vigore piegando la testa in direzione del vento e trattenendolo con la mano sinistra.
- è inutile lamentarsi - si disse con amarezza. - Me la sono cercata io.
In effetti, quando il direttore aveva chiesto chi avrebbe voluto recarsi in quel paesino per scrivere l’ultimo articolo sulle tradizioni natalizie, tra lo stupore dei colleghi, si era offerto volontario. D’altra parte nessuno si era fatto avanti, comprensibilmente.
- Proprio tu, Landi? - aveva chiesto il direttore con un sorrisetto sulle labbra, ben conoscendo la sua avversione per quel genere di cose. Ed infatti, quando il suo capo, tempo prima, aveva proposto alla redazione l’idea di una serie di articoli da pubblicare nel periodo natalizio, era stato l’unico ad opporsi fermamente. Era convinto che non si potesse continuare a narcotizzare la gente con quel genere di cose. Il Natale era per lui solo una grande truffa ormai priva di significato tranne per i commercianti che si arricchivano approfittando dell’euforia incosciente che invadeva tutti ma non Roberto Landi, ovviamente.
- Proprio tu, Landi? - si era sentito ripetere con tono provocatorio, ma si era limitato a rispondere con un’alzata di spalle.
Nessuno avrebbe rinunciato volentieri ai festeggiamenti in famiglia, di certo non la vigilia di Natale. Ma lui? Il bello ed elegante Roberto Landi, ammirato dalle colleghe ed invidiato dai colleghi: cosa lo aspettava a casa?
- Casa - sbottò, chiudendosi ancor più nel bavero.
Anche lui si rendeva conto che una stanza d’albergo non poteva considerarsi una casa, anche se tante volte si era vantato della sua libertà con i colleghi. Entrare ed uscire senza dover rendere conto a nessuno, invitare amici ed amiche a piacimento, avere qualcuno che riordini senza dover nemmeno ringraziare. Bella vita davvero, ma quella era una sera speciale e non avrebbe trovato nessuno a tenergli compagnia e così meglio lavorare.
- Comunque sia, se il direttore si aspetta un articolo melenso come quelli scritti dai miei colleghi, avrà una bella sorpresa.
Sapeva già cosa avrebbe trovato nella chiesetta che lo aspettava in fondo a quella galleria del vento: uno dei mille insignificanti presepi tutti luci e stelline, magari uno di quelli con il giorno e la notte che si alternano cercando di ricreare la vita dove questa non c’è più, da duemila anni. O addirittura un presepio moderno dove al posto delle pecore ci sono le automobili, al posto delle case di argilla e mattoni, di legno e paglia, vi sono edifici in cemento e strade asfaltate.
- Niente stelle, però - ironizzò alzando gli occhi al cielo nuvoloso. - Lo smog e le luci di una città le rendono invisibili o così poco attraenti che è meglio guardare altrove.
Ma le sue considerazioni si interruppero bruscamente perché inciampò in un ciottolo sporgente che gli fece perdere l’equilibrio. Prima di alzarsi, si permise di imprecare a voce alta, tanto in quel deserto nessuno lo avrebbe udito. Si spolverò il cappotto e cercò invano il cappello che sembrava essersi dissolto.
- Al diavolo il cappello - concluse irritato rimettendosi in cammino.
Il vento ne approfittò per arruffargli i capelli ed infilarsi gelido tra il collo ed il bavero.
Fece gli ultimi metri corsa e spinse con forza una pesante porta di legno. Tirò un sospiro di sollievo, ma fu subito colpito dal forte odore di incenso, di cera e di umidità.
Sul fondo, appena illuminato, si intravedeva un altare sormontato da una pala di legno dipinta. Un Cristo benedicente, sebbene ormai inscurito dal fumo di mille candele, lo accolse con un sorriso immobile che elargiva da chissà quanto tempo.
Erano molti anni che non metteva piede in una chiesa e un inaspettato senso di disagio contribuì a renderlo ancora più inquieto. Si mosse allora lentamente sul pavimento di pietre irregolari per raggiungere una delle prime panche. Prima di sedersi, notò come lo scrupoloso lavoro di generazioni di infaticabili tarli e l’intenso uso, sebbene più deboli, avessero reso austeri quei poveri sedili. Per questo non lo ritenne un difetto anzi gli parve che tutto facesse parte di una scenografia che nemmeno il più abile degli architetti sarebbe stato in grado di creare.
Una luce, solo un po’ meno fioca di quella delle candele che ardevano ovunque, si accese presso un altare laterale. Ebbe un moto di fastidio, come se un rumore inopportuno e stonato avesse rotto l’incantesimo di un concerto.
- è il presepio - pensò. - Sarà meglio che mi sbrighi: non voglio rimanere oltre in questo posto. E devo anche cercare il parroco per l’intervista.
Ma non lo fece. Si diresse invece verso quella luce, come se si fosse accesa per lui. Sapeva che sarebbe rimasto deluso nel vedere l’ennesima ricostruzione, piena di buona e sciocca fede, di un fatto storico in cui troppe persone riponevano le loro speranze.
Era ormai all’altezza dell’altare laterale, quando le luci, dopo aver traballato per qualche istante si spensero del tutto.
- Scarse capacità tecnologiche - ironizzò avanzando ancora.
Un odore di muffa e di legno lo avvolse procurandogli dapprima un senso di fastidio; tuttavia gli risvegliò lontani ricordi e si trasformò rapidamente in qualcosa di dolce e piacevole: la casa di campagna dei nonni, la loro cantina piena di mobili polverosi e umidi tra i quali aveva passato ore giocando a nascondino con i suoi cugini.
- Non è un presepio moderno - commentò compiaciuto. - Questi oggetti devono essere vecchi almeno come le panche.
Ma la luce della chiesa era troppo fioca e poté distinguere solo le sagome nere dei personaggi. Erano piuttosto grandi e disposti nelle pose più strane.
- Forza, un po’ di luce - chiese in un bisbiglio, ma la luce non venne.
- Spero che vorrai scusarmi - disse poco dopo, ma senza nessuna ironia, al Cristo benedicente quando prese una delle candele che ardevano presso l’altare maggiore.
Tornò quindi rapidamente al presepio, proteggendo la piccola fiamma con una mano.
- Ed eccomi ancora qua - esclamò infine e liberò la fiamma.
Il personaggio più vicino fu illuminato di rosso e proiettò un’ombra che danzava al ritmo della fiammella. La statuetta era piuttosto grossa ed intagliata nel legno, come aveva immaginato. Era stata dipinta con cura e rappresentava un uomo di una certa età, con la faccia rugosa ed una folta barba bianca; reggeva una lanterna per illuminare la strada e gridava qualcosa di incomprensibile nonostante tenesse una mano attorno alla bocca per farsi sentire meglio.
- Non c’è nessuno ad ascoltarti e la tua luce non splende. Non affaticarti oltre e lascia che siano gli altri a preoccuparsi delle cose del mondo.
Più in là trovò una donna con un grande cesto sulla testa, all’interno del quale vi erano dei pani e dei pesci. Aveva uno sguardo serio e pensieroso che non lasciava trapelare nulla riguardo al luogo verso cui si stava dirigendo in tutta fretta.
- Cara, signora, probabilmente non sai nemmeno tu dove andare. Cammina, cammina e dopo tanti anni sei ancora qua, con i tuoi pani e i tuoi pesci alla ricerca di una meta. Forse il vecchio è tuo padre che non vedendoti tornare è uscito alla tua ricerca nel buio della notte.
Ebbe per un attimo la tentazione di spostare la statuetta della donna perché potesse finalmente ricongiungersi con il padre. Ma si vergognò di quel pensiero infantile.
Con la candela illuminò allora la strada seguita dalla donna che si inerpicava verso una collina, ma dovette immaginarla più che vederla. Una sorgente d’acqua, che la mano esperta di un pittore aveva saputo rendere viva e fresca, scorreva da una pietra ai piedi della collina e si gettava in una grande vasca. Un’altra donna era china presso la fonte e attingeva con un secchio. Una serie di pieghe sulla fronte e la smorfia sul volto non lasciavano dubbi sulla fatica a cui si stava sottoponendo.
- Non puoi fare altrimenti, lo so. Se avessi potuto scegliere, avresti sicuramente voluto nascere in una famiglia agiata dove altri avrebbero preso l’acqua per te. Ma così ha voluto la sorte ed ora ti tocca sollevare quel secchio che non riuscirai mai a riempire del tutto.
Più staccati, due uomini discutevano animatamente. L’argomento della disputa erano sicuramente due galline che uno dei due teneva per le zampe, mentre l’altro, forse un compratore, le indicava con la mano.
- Mi chiedi troppo per due galline. Sono magre e vecchie: ti darò la metà di quello che pretendi. D’altra parte nessuno te le comprerà e se non le dai a me le dovrai buttare. Il loro aspetto non inganna: devono essere morte da un secolo.
- Le ha uccise un cane, proprio stamattina. Erano due splendidi animali che producevano un mucchio di uova. Le ho sempre nutrite e accudite con cura e adesso tu vuoi che le regali.
- Calma, signori. Mettetevi finalmente d’accordo: ma sapete da quanto siete qui a contrattare? Sono sicuro che avete cose più importanti da fare, e a casa qualcuno vi attende...
- Sono diventato matto - disse a voce alta, interrompendo il flusso dei suoi pensieri, quando una goccia di cera bollente gli cadde dolorosamente sul dorso della mano.
Si massaggiò con vigore e fece per spegnere la candela ridotta ormai a un mozzicone, ma la fiammella, in una delle sue ultime danze, illuminò per un istante un angolo che altrimenti difficilmente avrebbe potuto vedere. E in quell’angolo un’immagine comparve per sparire nuovamente nel buio del presepio.
- Chi sei? - chiese ad un bambino.
Era piccolo, molto più piccolo rispetto alle altre statuine, quasi sproporzionato, come se l’autore avesse voluto accentuare il senso di fragilità e di tenerezza che suscitava. Se ne stava rannicchiato dietro a un masso risultando quasi invisibile. Alte erbe lo nascondevano ancor di più. Lo sguardo era perso nel vuoto ed un lungo bastone da pastore giaceva ai suoi piedi. Anche i suoi abiti rendevano chiaro il suo mestiere. Ma non vi erano né pecore né capre vicino a lui. Roberto diresse la luce tutt’intorno, ma il gregge più vicino si trovava in un’altra zona del grande presepio ed era accudito da tre pastori che sembrava sapessero il fatto loro.
- Dove sono le tue bestie?
- Le ho perse.
- Come hai fatto a perderle? - chiese ancora Roberto preoccupato, ben sapendo quanto fosse grave per un pastore perdere i suoi animali.
- Un canto - rispose il pastorello. - Ho sentito un canto dolce e inaspettato. Anzi era un coro di voci così belle che mi sono fermato ad ascoltare. Sarei rimasto lì tutta la notte se non mi fossi accorto che le mie pecore erano scappate. Le ho cercate dappertutto, te lo giuro, ma inutilmente. Ed allora mi sono nascosto dietro questa pietra.
- Perché non chiami qualcuno dei tuoi ad aiutarti?
- Piuttosto che tornare a casa rimango qui per sempre.
- Se vuoi, posso darti io una mano.
- Faresti questo per me? Perché?
- Ho tutto il tempo che voglio e nessuno che mi aspetti...
- Non hai figli?
- No.
- Nemmeno una moglie?
“Ne ho tante”, avrebbe voluto replicare, ma tante significava nessuna e così gli rispose: - Non ne ho.
- Allora sei proprio solo...
Che impertinenza. Non era solo, Roberto Landi: aveva tanti amici e conosceva un sacco di persone. Il suo cellulare squillava in continuazione. Quando lo desiderava, trovava sempre qualcuno che gli tenesse compagnia, e se proprio gli andava male, c’era pur sempre un buon libro o un film.
- In questo momento ho te - gli rispose con un filo di voce. Poi mosse la candela verso la parte destra del presepio. Si era accorto infatti che, nonostante la loro immobilità, tutte le statuine erano rivolte verso quella direzione, attratte da un richiamo al quale non si poteva non rispondere.
- Lì c’è sicuramente la capanna.
In effetti, i personaggi divennero sempre più numerosi: trovò un falegname, un arrotino, un venditore di olive, una lavandaia con un cesto sulla testa, un uomo in groppa a un asino, una signora anziana tutta curva... - Eccola! - esclamò quando la candela gli mostrò una stalla con un bue e un asino all’interno.
In un angolo, vicino ad una mangiatoia vuota, le statuine di Maria e Giuseppe erano già in adorazione, come ormai facevano da chissà quanti anni.
- Cosa cerchi?
Aveva illuminato un personaggio vestito di azzurro che dall’alto della capanna osservava la gente arrivare. Le ali spiegate e i lunghi capelli biondi dichiaravano la sua natura.
- Un gregge disperso.
- Sei un pastore?
- No, ma ne conosco uno.
- Guarda di fianco alla stalla.
Quattro pecore gonfie di lana se ne stavano beatamente sdraiate ai bordi della capanna. Le illuminò, ma il loro sguardo sembrava dire: “Guai se osi toccarci! Qui siamo a casa nostra”.
Tornò dal bambino, Roberto Landi, e senza pensarci troppo lo sollevò dal suo nascondiglio e lo portò con delicatezza fino alla capanna. Lo sistemò tra le sue pecore e gli parve, con soddisfazione, che l’espressione triste fosse scomparsa dal suo volto. Il pastorello aveva ritrovato il suo gregge e Roberto Landi aveva riscoperto qualcosa che pensava di aver perso per sempre.
- Ha ragione lei, signore. Il posto di quella statuina è proprio quello, lì tra le sue pecore. Qualcuno sbadatamente deve averlo dimenticato altrove.
Quella voce inattesa lo fece girare di scatto, sorpreso.
- Devo averla spaventata. Mi scusi, ma pensavo che mi avesse sentito arrivare. Comunque, io sono il parroco.
Il giornalista si guardò ancora attorno, smarrito; la chiesa infatti non era più vuota, ma numerose persone erano già sedute sulle panche.
- Sono qui in attesa della messa di mezzanotte - gli spiegò il sacerdote avendo colto lo stupore nel suo sguardo.
Intanto le luci del presepio si erano accese e avevano restituito alle statuine la staticità e l’impassibilità per loro naturali.
- Lei è venuto per quell’articolo sul nostro vecchio presepio, vero? - chiese ancora imbarazzato il parroco non avendo ottenuto alcuna risposta.
Roberto Landi si sentì pervadere da un senso di sollievo. Spense la candela, si passò, con un gesto a lui abituale, una mano nei folti capelli e finalmente rispose sorridendo: - Non più, credo che stasera sia Natale anche per me.


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A Betlemme

Maria - Sto male... Ho bisogno di riposarmi.

Giuseppe - Coraggio, siamo arrivati! Alla prima osteria chiederemo asilo... Oh, eccone proprio una!

...«TOC, TOC»

Oste - Chi è a quest'ora?

Giuseppe - Siamo due pellegrini che cercano ospitalità.

Oste - Questo non è posto per voi: io non ospito che signori!

Giuseppe - Ma vi pagheremo. Dateci almeno una soffitta per dormire. Siamo così stanchi!

Oste - Non ci sono posti liberi. Poco più giù c'è un'altra osteria, provate lì.

Giuseppe - Andiamo, Maria, ancora un po' di coraggio... Ecco, ci siamo.

...«TOC, TOC»

Ostessa - Chi è? Che cosa volete?

Maria - Da dormire. Veniamo da tanto lontano e siamo stanchi!

Ostessa - Mi dispiace, poveretti, ma l'albergo è tutto pieno. C'è gente arrivata da ogni paese e ci sono perfino gli astronomi, perché pare che debba passare nel cielo una stella cometa. Aspettano la nascita del Messia. Ma buona notte: debbo andare...

Maria - Non resisto più, Giuseppe. Mi coricherò sulla neve.

Giuseppe - Ancora un po' di coraggio... Dio ci aiuterà. Guarda, laggiù c'è una stalla, forse potremo entrarvi... Ecco, la porta è aperta!

Mucca - Muuu... muuu...

Giuseppe - C'è anche una mucca, c'è della paglia pulita in terra e c'è caldo. Vieni, Maria, e distenditi, mentre io metto al coperto anche questo povero asinello.

Stella Cometa - Debbo correre se voglio arrivare alla capanna a mezzanotte.

Coro di Angeli - Gloria a DIo nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che egli ama!

La povera capanna si illumina di una luce radiosa. Brilla su di essa la stella cometa. Gesù, il Messia, il Re dei Re è nato! Donne, bambini e pastori si recano ad adorarlo.


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Le stelle d'oro

Era rimasta sola al mondo. L'avevano messa sopra una strada dicendole: - Raccomandati al cielo, povera bimba!
E lei, la piccola orfana, s'era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: - Stelle d'oro, aiutatemi voi!
E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei. L'aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l'orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
- Ho fame - sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba; - ho tanta fame!
- Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
- Ma, e tu?
- Ne cercherò dell'altro.
Il vecchio allora la benedisse: - Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!
Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città ala campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
- Hai freddo? - le domandò l'orfanella.
- Sì, - rispose l'altra - ma non ho neppure un vestito.
- Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po' meno pigra.
- Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei... vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d'oro.
E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di riposare la notte, e l'altra corse via felice dell'abitino che la riparava così bene.
La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano una dopo l'altra come punti d'oro luminosi. L'orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell'augurio del vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana; già ne aveva riconosciuti i contorni.
- Ah sì! - pensava: - se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati. Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono; sfamerei gli affamati, vestirei i nudi... Mi vestirei - disse guardandosi con un sorriso; - io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
Si sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d'oro, cadevano a migliaia attorno a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
- Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: - Benedetta! Benedetta!


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A Nazareth

Un giorno Gesù, appena di cinque anni, sedeva sulla soglia di casa, a Nazaret, intento a formare degli uccellini da un blocco di argilla che gli aveva regalato il vasaio di fronte.
Sui gradini della casa vicina sedeva un bambino di nome Giuda; tutto graffi e lividure e i vestiti a brandelli per le continue risse con altri ragazzi di strada. In quel momento era tranquillo, non tormentava nessuno, né s'accapigliava con i compagni, ma lavorava anche lui a un blocchetto di argilla.
A mano a mano che i due bimbi facevano i loro uccellini li mettevano in cerchio dinanzi a sé.
Giuda, che di tratto in tratto guardava furtivo il compagno per vedere se facesse più uccelli di lui e più belli, gettò un grido di meraviglia quando vide che Gesù tingeva i suoi uccellini con il raggio di sole colto dalle pozze d'acqua.
Anche lui allora immerse la mano nell'acqua luminosa. Ma il raggio di sole non si lasciò pigliare. Filava via dalle sue mani per quanto egli si affaticasse a muovere lesto le dita tozze per acchiapparlo, e ai suoi uccelli non poté dare neppure un pochino di colore.
- Aspetta, Giuda - esclamò Gesù - vengo io a colorire i tuoi uccellini.
- No, non devi toccarli; stanno bene così! - gridò Giuda; poi, in un impeto d'ira calcò il piede suoi suoi uccelli riducendoli l'uno dopo l'altro in un ammasso di fango.
Quando tutti gli uccelli furono distrutti si avvicinò a Gesù, che stava accarezzando i suoi, sfavillanti come pietre preziose. Giuda li osservò un momento in silenzio, poi alzò il piede e ne pestò uno.
- Giuda, che fai? Non sai che sono vivi e possono cantare?
Ma Giuda rideva e ne calpestò un altro, poi un altro, un altro ancora.
Gesù si guardò attorno cercando un soccorso. Giuda era lato, robusto ed egli non aveva la forza di fermarlo. Guardò la madre; non era lontana, ma prima che fosse venuta Giuda avrebbe distrutto tutti gli uccelli.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Quattro erano già ridotti in mota; ne rimanevano tre ancora.
Gesù si struggeva che i suoi uccellini stessero quieti e si lasciassero calpestare senza fuggire alla rovina. Allora batté le mani per destarli e gridò: - Volate! Volate!
I tre uccelletti cominciarono a muovere le ali, le batterono timorosi, poi presero il volo fino all'orlo del tetto dove si sentirono in salvo.


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La leggenda del vischio

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari.
Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente.
Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per partecipare a una festa.
Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli gridarono - non vieni?
Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
Ma dove andavano?
Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli.
Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare.
No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita.
Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Entrò nella grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri.
- Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E proruppe in pianto.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò.
Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline.
Era nato il vischio.


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