mercoledì 24 aprile 2024
Racconti di Mutamenti

E POI?

Pensava senza voler pensare, perché spesso volontà ed effetto non viaggiano assieme.
Viaggiare... si voleva viaggiare, ma non viaggiava forse per lo stesso motivo: quale? Non aveva coscienza della sua volontà, non riusciva a vedere ciò che gli accadeva; lo lasciava succedere: e poi?
Semplicemente non ci pensava...
Tutti gli rimproveravano la sua noncuranza, ma lui non se ne curava e poi che voleva dire "noncuranza"?
Non lo capiva.
Gli sarebbe piaciuto scrivere di se, ma non sapeva precisamente chi era; gli sarebbe piaciuto parlare del mondo, ma non lo comprendeva. Lo ritenevano un fallito: o era lui a ritenersi un fallito? In fondo che differenza c'era?
Mentre una mattina, uscito di casa, si recava a lavorare, passò davanti a un vecchio venditore ambulante e si fermò. Senza un preciso interesse, con stanchezza, prese un libro dal mucchio, se lo fece incartare e se ne andò.
Quel giorno non si recò al lavoro: e se lo licenziavano? Non gliene importava? Bé semplicemente non ci pensava!
Camminò a lungo, fino a giungere fuori città? C'era una collina dove andava tempo prima con le sue ragazze. Adesso era solo. Non era mai stato un sentimentale e lì, a suo dire, c'era finito per caso.
All'inconscio non ci credeva e mai avrebbe ammesso di provare nostalgia per quegli attimi andati, sfociati, a sentir lui, in un semplice orgasmo. Ma chi siamo noi per dire che era altro ciò che sentiva?
Insomma resta il fatto che lui era lì, nessuno può sapere il perché, e lui neanche se lo chiedeva.
Si sedette sull'erba umida e si rese conto del pacchetto che teneva tra le mani: per tutto il tempo non ci aveva più fatto caso e ora lo guardava come cosa estranea e stonata. Cominciò distrattamente ad armeggiare con la carta, mentre i suoi occhi vagavano nell'orizzonte, senza sosta e ciechi. Liberato il libro dall'involucro che lo avvolgeva gli diede una rapida e distratta occhiata e lo gettò tra l'erba, per poi sdraiarsi a osservare le nuvole. Molte volte era stato in quella posizione, dopo aver soddisfatto i suoi piaceri con qualche sconosciuta ragazza, di cui non ricordava ne il nome ne il volto. ma in quel momento una sola voce s'insinuava tra i suoi pensieri. Era sicuramente il vento che sibilava tra le foglie, si diceva. Sentiva però che quel sussurro minaccioso aveva radici profonde in lui: era il richiamo a una delle tante storie che in un certo punto e momento avevano intersecato la sua e che inconsapevolmente avevano lasciato la loro traccia. Una storia di incomprensioni, di rimproveri, di pretese che lui non era mai riuscito a capire. L'aveva interpretata come un ulteriore fallimento e come al solito era scappato. Senza rimorsi, con qualche rimpianto si era rifugiato nella sua indifferenza e da lì non era più uscito
Le nuvole che si muovevano sopra di lui prendevano strane forme: il suo lavoro, la sua casa, sua madre e quella voce inafferrabile a cui non tentava di dare un volto.
Si alzò, riprese il libro tra le mani e si mosse verso casa, sentendo che qualcosa in lui era irrimediabilmente cambiato, qualcosa era morto e qualcosa cominciato.


Condividi

La magia del mio discanto

Avevo imparato sin dalle mie prime ricerche sul campo, ed ormai erano trascorsi più di 20 anni, quanto l’eccitazione dei sensi, dovuta a mio avviso al particolare trasporto emotivo dato da una scoperta più o meno importante, potesse creare una certa sublimazione dei sensi, un vortice in cui corpo e mente, raziocinio e fantastico avessero potuto incontrarsi sino a formare un sincretismo onirico. Il più delle volte tale stato psico-fisico si risolveva in una semplice quanto innocua sensazione di momentaneo spaesamento, di dissociazione dalla realtà che poteva concludersi al massimo nel giro di un paio di giorni; personalmente avevo potuto annotare nei miei diari di lavoro quanto questo particolare stato mentale andasse scemando con il tempo e con la permanenza prolungata sul campo, pur potendo constatare come mai, in realtà, ciò che ormai veniva comunemente soprannominato “delirio dell’antropologo”, fosse totalmente scomparso. I miei colleghi spesso mi rimproveravano un’eccessiva dose di partecipazione emotiva verso un lavoro che dai più era invece sminuito a semplice sotto scienza umana, di livello inferiore se paragonato alla psicologia ed alla sociologia. Per me, tuttavia, l’importanza che aveva ogni singola ricerca antropologica, anche la più modesta, dipendeva anche e soprattutto dalla mia personale convinzione che solamente attraverso il dispiegamento delle mie più intime emozioni avrei potuto realizzare qualcosa che valeva realmente la pena considerare scientifico. Le critiche dei miei colleghi, spesso amici nella vita ma appartenenti a correnti metodologiche differenti, e il ritrovare sistematicamente quel senso di spaesamento iniziale, non erano per fortuna stati sufficienti a cancellare quelle mie convinzioni circa il modo di procedere di una ricerca. Cosicché, carico del mio solito bagaglio di eccitazione misto ad una sorta di ottimismo che sempre aleggiava prima di ogni spedizione, mi accinsi nel gennaio del ‘79 a partire per la Libia, dove mi avrebbe atteso un lavoro di circa due mesi nella regione della Cirenaica, in pieno deserto sahariano. Il mio interesse verso quel complesso di opere rupestri, gelosamente custodite nei ripari sottoroccia dei massicci centrali, era dettato da un mio convincimento circa il forte valore religioso e simbolico che quelle opere offrivano ai gruppi nomadi preistorici, quale garanzia di adattamento a regioni rese inospitali da un clima che era stato in passato molto differente dall’attuale. Naturalmente le mie tesi erano state derise, ma ciò che sentivo dentro ogniqualvolta si ripeteva davanti i miei occhi lo spettacolo quasi magico di quelle rappresentazioni, era per me certezza di un assunto che consideravo punto nodale della mia vita di ricercatore e studioso di fenomeni religiosi. La zona in cui avremmo dovuto operare quell’anno distava circa settanta chilometri dall’oasi più vicina, cosicché le riserve di acqua ci sarebbero giunte settimanalmente grazie agli spostamenti dei gruppi Tuareg, nomadi e pastori che utilizzavano quelle vie in mezzo al deserto per operare spedizioni a carattere economico. Alcuni studi effettuati negli anni trenta e quaranta da amministratori coloniali e viaggiatori europei, i quali operavano su questi territori come dipendenti dei paesi cui provenivano, ma che avevano sviluppato nel tempo un forte interesse per gli usi e costumi dei nativi di quelle zone, mi avevano convinto della possibilità che i gruppi nomadi Tuareg potessero rappresentare i diretti discendenti di quelle genti che in epoca preistorica erano stati gli artefici di quel meraviglioso pantheon dipinto ed inciso nelle grotte e nei ripari sotto roccia, e che questo legame potesse in qualche modo aiutarmi a comprendere il significato e le finalità di tali meravigliose opere. La diffidenza, ed a volta una aperta avversione verso i stranieri, rendevano alquanto problematico stabilire un qualsiasi tipo di contatto con i Tuareg, ma mi promisi ugualmente che di li a pochi giorni avrei tentato una sortita in uno dei loro accampamenti stabili, che si trovava a pochi chilometri dal nostro.

La troupe era formata dai stessi studiosi già presenti l’anno precedente, tre archeologi, un geologo ed un paleobotanico, a cui si era aggiunta per la prima volta una giovane donna, che mi era stata caldamente raccomandata dal governo libico, e che aveva un’ottima esperienza dei luoghi, essendo originaria di un gruppo etnico imparentato ai Tuareg, i Fulani. Questa studiosa si era anch’essa specializzata nello studio delle opere rupestri africane, ma, al contrario di me, nelle sue pubblicazioni si era sempre dichiarata avversa a qualunque spiegazione di carattere religioso, avvicinandosi più verso tematiche di tipo sociale e simbolico. Ritrovatisi dopo circa un anno, e sviluppato un piano di lavoro coerente, iniziammo il percorso con le jeep, che ci avrebbe condotto verso lo Uadi-Teshuinat, un letto di un antico fiume oggi prosciugato, dove avremmo iniziato le nostre ricerche, spingendoci poi verso est. Durante quel breve tragitto ebbi l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con la mia nuova ricercatrice, ed ebbi subito una sensazione alquanto irritante di una sua velata antipatia nei miei confronti. Ad una mia prima informale domanda, circa il modo di procedere una volta giunti a destinazione, mi apostrofò in modo molto diretto “ Mi creda professore, non troverà nulla di religioso laggiù...” Gli scossoni provocati dal tragitto impervio di quel sentiero disegnato attraverso le lande sabbiose del deserto non mi permisero di comprendere tutto ciò che diceva la mia giovane collega, ma quelle poche parole mi avevano dimostrato, sempre che ce ne fosse stato ancora bisogno, l’avversione che potevo provocare nei riguardi di quegli antropologi ed archeologi ancora troppo legati a correnti di pensiero marcatamente accademiche. “ Lei è convinta di essere custode di antiche verità suppongo.”

“ Diciamo che preferisco lavorare con il cervello piuttosto che con il cuore, come fa lei...” ed aggiunse quasi di getto “Sa qual è la differenza tra me e lei professore ?”

“Sono tutto orecchie...”

“Io non sono mai stata colpita dal delirio dell’antropologo.....e mi creda, mai lo sarò...” Anche quelle ultime parole si confusero con un forte vento che iniziava a soffiare verso la nostra direzione; mi volsi a guardare nella direzione opposta, quel paesaggio cosi misterioso e sterile mi inebriava e mi terrorizzava a tal punto che dovetti distoglierlo quasi subito.


CAP II

Lungo il Uadi Teshuinat vi erano una gran quantità di ripari e grotte in parte già esplorate e studiate. Le informazioni che avevo in proposito parlavano di incisioni appartenenti alla fase denominata “teste rotonde”, che doveva risalire a circa dieci mila anni fa, in un momento climatico abbastanza favorevole allo sviluppo di gruppi nomadi a carattere semi-sedentario. Già negli anni precedenti vi erano stati altri studiosi interessati a quelle incisioni, ma nessuno si era mai soffermato a lungo sul loro significato, limitandosi invece ad un tipo di lavoro classificatorio. Scopo del mio periodo di lavoro in Libia era invece quello di tentare di dare fondamento alle mie teorie, e per far ciò mi occorreva molto più materiale di quanto ne avessi a disposizione. Giunti al primo sito di un certo interesse, un riparo largo circa ottanta metri, classificato con il nome di Uan Mhuggiag, iniziammo un piano di divisione della sezione principale, dividendoci a coppie di due persone per ogni settore. La parete incisa occupava in tutto circa venti metri del riparo, e le opere erano posizionate lungo il tetto principale, ben a riparo dalle intemperie naturali, fattore che doveva essere alla base dell’ottima conservazione del sito. Come di consueto diedi una prima occhiata d’insieme e subito mi prese una forte eccitazione intellettuale, sentimento con il quale condividevo gran parte dei miei periodi di lavoro sul campo. Avere dinanzi quel complesso di linee cosi magistralmente intrecciate a formare strutture simboliche di quella portata sconvolgeva totalmente i miei sensi, facendo affollare la mia mente di immagini il cui significato codificato andavo ricercando da anni. Mi avvicinai al mio settore, dove la dottoressa Alexander aveva già iniziato i primi rilevamenti sull’incisione più esterna.

“La barca simbolica di Uan Mhuggiag, una delle opere più suggestive che si possano ritrovare in tutta questa zona”

“E’ sicuramente un incisione molto ben fatta, per di più suggestiva, ma da qui a definirla una barca simbolica ce ne passa, dottor Scina. Lei sa che solamente con l’avvento della civiltà egizia le imbarcazioni dipinte ed incise avranno un valore cultuale, legato ai riti funebri dei principi...”

“Non vedo perché parte dell’iconografia egiziana non possa essere la naturale evoluzione di ciò che si ritrova nei medesimi luoghi millenni prima del suo fiorire.”

“Semplicemente perché, professor Scina, non ci sono prove a dimostrarlo, ed una teoria senza prove non può in alcun modo pretendere di assumere un carattere di scientificità, almeno non in ambito archeologico...”

“Vuol per caso convincermi che nell’opera che abbiamo sotto gli occhi lei non riesce a scorgere nulla che possa far pensare ad un rito religioso?

“Esatto, senza prove per me questa è solo la testimonianza di un incisione fatta da qualcuno vissuto in queste zone qualche migliaio di anni fa, null’altro”

“Mi sorprende la sua totale mancanza di meraviglia per un capolavoro del genere”

“Non fa parte della mio bagaglio di studiosa il commuoversi dinanzi una scoperta archeologica, per quanto importante possa essere.”

“Capisco, lei è qui perché ce l’hanno mandata giusto?”

“Esatto, solo per quello...”. Finì quell’ultima frase abbozzando un sorriso, che mi parve di interpretare come un gesto di sfida nei miei confronti. Mi concentrai su ciò che a me appariva cosi chiaramente come una barca, il cui valore simbolico e mistico mi era indirettamente confermato dalla magia che ogni singola linea emanava su di me, che dovevo limitarmi semplicemente ad essere ricettacolo di tale infinita bellezza grafica. Dalla riproduzione su carta che feci del mio settore apparvero particolari che mi erano sfuggiti ad un primo sommario controllo. All’interno della barca vi erano disegnati in fila indiana quattro figure di uomini contornati da quelli che interpretavo come copricapo di piume, forse una rappresentazione simbolica di un qualche animale in occasione dell’espletamento del rito funerario. L’importanza che dovevano aver avuto per quei gruppi di cacciatori gli animali da cui traevano sostentamento, doveva andare ben oltre il fatto puramente materiale, che avrebbe a mio parere potuto sfociare in legami dai caratteri sacri, fino al possibile svilupparsi di un embrione di ciò che oggi viene definita comunemente religione. Il voler, dunque, riproporre nei riti quel legame mitico che univa l’uomo e l’animale, mi dava l’opportunità di decodificare quella parte dell’incisione che la mia ricercatrice aveva sbrigativamente classificato come “licenza dell’autore”. Accanto a questa parte principale dell’opera, ma posizionata all’esterno di questo primo complesso, vi era una strana riproduzione forse interpretabile come la persona cui il rito funebre era rivolto. Il particolare che mi aveva colpito, e che forse era il punto nodale di tutto il mio impianto teorico, riguardava la strana campeggiatura interna di quella figura, che già avevo abbondantemente ritrovato in molte pitture di epoca egizia, in cui veniva raffigurata la pratica della mummificazione. Ma come pensare di attribuire conoscenze cosi complesse a popoli che ancora non avevano sviluppato nulla che potesse avvicinarsi ad un organizzazione di tipo statuale? Eppure ciò che scorgevo con molta nitidezza al di fuori di quella barca, posizionata nella classica posizione verticale, rappresentava senza dubbio una mummia. Non potevano perciò esserci dubbi sul valore religioso che quella incisione rappresentava, e quella piccola, ed ad una prima occhiata insignificante figurina, diveniva il fulcro dell’intera rappresentazione. Il buio venne ad interrompere il mio lavoro, per cui decisi che l’indomani avrei discusso immediatamente di questa scoperta per me di valore unico con la dottoressa Alexander.


CAP III
Nel momento in cui apri gli occhi, il sole era appena iniziato a sorgere, ed i raggi che illuminavano dolcemente il paesaggio, andando ad insinuarsi fin nelle più piccole insenature di arenaria, mi davano una forte sensazione di estraneità in quella totalità cosi maestosamente selvaggia ed incontaminata. Quella scena cosi grandiosa, cosi infinita rappresentava l’oggettivazione della mia piccolezza, ed il ripetersi ciclico di quel fenomeno cosi inafferrabile mi permetteva di entrare in simbiosi totale con tutto ciò che era esterno, ma che riuscivo, anche se solo per un attimo, ad inglobare in una perfetta fusione di sentimenti opposti. Ero conscio che vivere schiavo delle proprie emozioni mi rendeva debole, ma ringraziavo la mia professione se era riuscita ad aprire una breccia nel mio cuore, rendendomi in questo modo ricettacolo di esperienze interne di cui mai avrei, in caso contrario, solamente potuto immaginarne l’esistenza.
“Buon giorno professore...” mi salutò una voce femminile proveniente dall’ingresso della tenda.

“Salve a lei dottoressa, non sapevo fosse cosi mattiniera!” “Posso offrirle qualcosa ?”

“Grazie, ho già fatto colazione, sa mi piace iniziare la giornata molto presto”

“Sono d’accordo con lei, sta già lavorando al settore ?”

“Si ma mi sono spostata verso sinistra, è venuta alla luce una figura alquanto sorprendente di un quadrupede che non riesco per il momento a decifrare”

“Vorrei, se possibile, distoglierla dal suo lavoro, dottoressa, per farle notare un particolare della barca simbolica che ho scoperto solamente ieri sera... non si preoccupi, le toglierò solo cinque minuti del suo preziosissimo tempo”

“Sono qui per questo, l’aspetto vicino al settore, faccia con comodo”

“Grazie dottoressa”

“E’ il mio lavoro...non deve ringraziarmi”

Usci con lo stesso vigore con cui era entrata poco prima; di lei, a distanza di soli due giorni, cominciava a colpirmi quella forte carica di vitalità che sembrava pervaderla costantemente, ed anche se non accettavo nessuna delle sue idee, riuscivo ad apprezzare la professionalità e l’impegno con cui si stava comportando nei miei riguardi e nei riguardi del mio lavoro. Mi vesti in fretta e raggiunsi la mia ricercatrice che si trovava vicino l’imbocco del riparo, esattamente a pochi metri dove il giorno precedente avevo fatto l’eccezionale ritrovamento. Tanta era l’eccitazione che superai all’istante quel torpore mattiniero che solitamente mi portavo avanti per parecchio tempo.

“La vedo alquanto eccitato professore, ha per caso scoperto qualcosa di importante ?”

“Solo un secondo di spiegazione, poi vedrà lei stessa...”

“Dunque, sul fatto che quell’opera rappresenti una barca simbolica dal valore chiaramente religioso io non ho mai avuto dubbi; tuttavia, rispetto ai corrispondenti dipinti egiziani, che considero i diretti discendenti di quest’arte che noi oggi stiamo studiando, mancava alla nostra opera un particolare di primaria importanza...”

“Io credo però che questa lacuna sia stata colmata, perché sono sicuro di aver scoperto subito sotto la barca una perfetta incisione rappresentante una mummia, o qualcosa di molto simile”

“Sta per caso tentando di farmi uno scherzo professore?”

“Assolutamente, venga con me, lo vedrà con i suoi stessi occhi”

“Una mummia risalente a non meno di dieci mila anni fa? Lei comprende il significato di ciò che sta dicendo?”

“Perfettamente, non ho dubbi a riguardo”

“E’ assurdo, mi spiace dirlo, ma ciò che mi ha detto è totalmente assurdo! Far risalire un processo complesso qual è quello della mummificazione cosi lontano nel tempo è del tutto inaccettabile”

“Mi segua dottoressa, prego...”

Ci avvicinammo lentamente, la luce del mattino illuminava perfettamente le pareti interne del riparo, per cui le incisione sarebbero apparse molto nitidamente. Misi un dito sull’intera opera per focalizzare il punto preciso, ma non riuscii a ritrovare l’incisione della mummia.

“Mi scusi professore, io non riesco a vederla”

Riflettei un attimo isolandomi del tutto; ciò che avevo visto la sera prima era scomparso, eppure io non avevo il ben che minimo dubbio che su quel punto della parete che ora stavo fissando avevo riconosciuto la figura di una mummia.

“Mi creda, ieri in questo preciso punto c’era...”

“C’era? Mi sta prendendo in giro? “

Non riuscivo a capacitarmi di cosa fosse accaduto, per quale strana magia l’incisione si era dissolta nel nulla. Fissai la dottoressa Alexander, abbozzai una scusa “Credo di doverle delle scuse, forse la luce fioca mi ha tirato uno brutto scherzo”

“Capita, non si preoccupi, succede a tutti ogni tanto, non facciamone un dramma”

“Torni pure al suo lavoro dottoressa, io continuo con i rilevamenti in questo punto, dopo la raggiungerò per esaminare l’altra incisione che ha trovato questa mattina”

“D’accordo, ma lei è sicuro di star bene?”

“Benissimo non si preoccupi, vada pure”

Non era stata la poca luce, di questo ne ero certo; ciò che avevo veduto la sera precedente era reale, ma ora non ve ne era più traccia. Pensai al famoso delirio dell’antropologo, ma la veridicità di quella figura andava ben oltre una pura sensazione; la mummia era incisa proprio nel punto in cui ora vi era solo roccia viva.





CAP IV


Tentai per tutto il giorno di non pensare più a quanto successo, ma la mia mente continuava a reagire a quel fenomeno inspiegabile, producendo un vortice di pensieri

che si susseguivano a folle velocità senza un apparente logica. Finiti tutti i rilevamenti, passai al setaccio di eventuali segni ancora nascosti sotto le incrostazioni, ma sembrava proprio che la ripulitura del pannello principale, delimitante la figura della barca, fosse stata portata a termine. Le successive operazioni della giornata trascorsero in modo molto meccanico, perché il mio totale interesse per quella zona cosi ricca di reperti archeologici si limitava oramai a quei trenta centimetri quadrati posti all’imbocco dell’entrata principale del riparo. La sera, dopo l’ennesimo ed infruttuoso sopralluogo al settore, rimasi a riflettere vicino l’incisione, cercando, se mai possibile, una spiegazione razionale. Fui quasi preso di soprassalto dai passi della dottoressa Alexander che si avvicinava a me con un fare molto sicuro e calcolato. Mi accorgevo quanto la mia prima antipatia verso quella ragazza si stava pian piano tramutando in un forte stato confusionale, che provai a descrivermelo in termini di pura stima professionale.

“Dica la verità dottore, sta ancora pensando a quanto successo stamattina vero ?”

“E’ cosi evidente ?”

“Diciamo che l’ho osservata quasi ininterrottamente tutto il giorno.....ed ho tratto le dovute considerazioni”

“Ha ragione dottoressa, non posso pensare ad altro, è diventata una sorta di ossessione”

“Si rende conto che non può essere successo ciò che pensa? Sarebbe fuori da ogni logica un episodio del genere”

“Ed è per questo che non riesco a farmene una ragione capisce? Io sono convinto di ciò che ho visto, perché ieri sera era là, non è stato frutto della mia fantasia, e non c’entra neanche la luce, ho visto quella incisione raffigurante una mummia, mi creda”

“Per quanto mi sforzi dottor Scina, mi riesce difficile pensarlo.....a proposito so che lei avrebbe intenzione di parlare con il capo della tribù Tuareg che vive nella vicina oasi di shanto vero? Non credo di comprenderne il motivo...”

“Non mi capirebbe lasci stare, comunque ha sentito bene, domani mattina proverò ad andarci, ho già contattato una guida che mi ha dato piena disponibilità; ma mi farebbe piacere se venisse anche lei dottoressa, so delle sue origini locali, e so anche che conosce bene i dialetti Tuareg ”

“Se per lei è una cosa importante, verrò sicuramente, la parentela che ho con questi gruppi non credo sarà un motivo sufficiente, i Tuareg rifuggono da qualsiasi occidentale, ed il fatto di avere un padre inglese per loro equivale a considerarmi straniera”

“La ringrazio molto dottoressa, credo mi sarà di grande aiuto”

“A patto, beninteso, che non mi dica il motivo della visita, anche se credo di supporlo”

“Come vuole, lei non saprà nulla di ciò che già sa”

Non ero mai stato un buon comico, ma il sorriso con cui mi apostrofò prima di andarsene mi fece vedere in lei un qualcosa che ancora non sapevo, una dolcezza di sguardo che fino ad ora mi era sfuggita.

Gli anni trascorsi a studiare queste immense zone desertiche non avevano intaccato in me quel senso di stupore che provavo scorgendo quei paesaggi cosi inquietanti, ciclici fino all’estremo, ma capaci di catturare completamente i miei sensi più reconditi. Trascorsi tutto il tempo del tragitto sulla jeep fissando con gli occhi un punto fisso del terreno, che variava col movimento della macchina, ma che immaginavo collegato l’un l’altro come passato, presente e futuro lo sono tra di loro. L’oasi di Shanto distava circa settanta chilometri dal punto in cui ero impegnato con la mia troupe, ed era l’accampamento base di un piccolo gruppo di nomadi del deserto, che io consideravo depositari di un grande sapere, troppo spesso sottovalutato dagli studiosi che, come me, si occupavano di archeologia simbolica. La mia guida personale, proveniente da un villaggio vicino Tripoli, mi aveva già in passato accennato ad anziano che abitava in quell’oasi, che rappresentava, a suo dire, un personaggio molto influente e rispettato, depositario del sapere tradizionale del gruppo. Di lui non sapevo altro, ma decisi ugualmente che un tentativo andava fatto.

“Omar, crede che mi vorrà ascoltare questa persona ?”

“So soltanto che vive li, ma non sono sicuro che apprezzerà la sua visita dottore”

“Può intercedere per me ?”

“Posso chiedere, ma non le assicuro nulla, noi stessi che proveniamo dalle città non siamo ben visti da queste parti, sa ci considerano troppo simili a voi occidentali”

“Capisco, che Dio ce la mandi buona”

“Ci aggiunga pure Allah, non si sa mai...” ironizzò Omar, quasi divertito per ciò che stava accadendo.

“E lei dottoressa, non ha nulla da dire a riguardo ?”

“Io? se è come penso, ci faranno girare la jeep e ci rispediranno indietro in un batter baleno...comunque tentar non nuoce”

“Lei è convinta che io stia percorrendo una strada senza sbocchi.....”

“Ne sono sicura, ci sono nata da queste parti, e non ho mai udito, dico una sola storia a riguardo.....le origini di questi gruppi etnici sono da ricercare più a sud, forse in Sudan, o in Etiopia, ma di certo non qui....”

“Perché ne è cosi convinta ?”

“Perché i ritrovamenti archeologici ce lo confermano ampiamente, mentre le sue sono solo congetture, che per quanto affascinanti possano essere, rimangono pur sempre congetture”

“Eppure molti loro tratti culturali appaiono di sovente nelle opere rupestri del nord Africa, ed anche le loro storie accennano spesso ad antenati vissuti qui migliaia di anni fa”

“Lei le chiama storie, io solamente miti neanche troppo originali...credo che il suo errore sia quello di confondere ciò che è storia, ciò che è oggettivo da ciò che invece vorrebbe fosse in quel modo ”

“Non mi da molte speranze vedo”

“Non credo ce ne siano, ma il campo è suo, io l’aiuterò come posso dottor Scina”

Di nuovo quella strana energia crescere dentro, ma questa volta amplificata; mi era ormai chiaro quanto la presenza di quella ragazza poteva sconvolgermi interiormente, ma altrettanto chiaramente mi accorgevo come a lei non corrispondevano le stesse mie emozioni.

“Si prepari dottor Scina, siamo quasi arrivati”

“Grazie Omar, lei sa per caso dove possiamo cercare questa persona ?”

“No, ma credo non sarà difficile trovarla, è un personaggio molto influente, abiterà sicuramente nella tenda più grande, e non ne vedo che tre in questo accampamento”

“Ha qualche suggerimento, dottoressa ?”

“Se è un capo villaggio, alloggia nella tenda posta centralmente, quelle laterali sono per i suoi parenti più stretti”

“Non poteva essere di più grande aiuto, scendiamo dalla jeep e vediamo cosa succede”

Con mio grande stupore mi accorsi che la nostra presenza passava piuttosto inosservata, ed anche se qualcuno ci apostrofava con sguardi tutt’altro che compiacenti, mi sentivo abbastanza tranquillo.

“E’ per via dei turisti, qui ormai ne passano molti, per cui si sono abituati ad avere intrusi tra i loro piedi”

“Bè, dottoressa, la cosa mi tranquillizza non poco, ho sentito strane storie su come queste tribù si comportano con chi non è loro gradito”

“Forse una volta, ma i tempi cambiano; non mi sorprenderebbe trovare qualcuno tranquillamente a conversare al cellulare mentre tiene a bada i suoi animali”

“Se è cosi, spero almeno che il progresso non abbia compromesso il loro attaccamento alle tradizioni”

“Lo escludo, il fatto che si siano in parte aperti all’occidente non vuol dire che l’abbiano accettato, e comunque continuano a vivere seguendo le loro regole in modo molto rigido”

“Ne sa molto su questa gente vedo”

“Lei è di Torino non è vero ?”

“Esatto”

“Se io le chiedessi di raccontarmi qualcosa dei piemontesi, rimarrei ugualmente impressionata dalla quantità di informazioni che mi potrebbe fornire”

“Ha ragione, scordo sempre che lei è nata da queste parti, devono esserle molto familiari questi luoghi e queste genti”

“Diciamo che ne so un po’ più di chi li studia semplicemente sui libri...siamo arrivati, vado avanti con Omar, speriamo sia ospitale con gli ospiti, inizio ad avere un po’ di fame”

Trascorsi nemmeno cinque minuti fuori la tenda che Omar corse fuori a chiamarmi.

“Venga dottore, il capo villaggio ci riceve, e sembra molto ben disposto”

Non nascosi il mio entusiasmo, abbracciai la mia guida ed entrai dietro di lui tentando di studiare ogni piccolo particolare di quel posto meraviglioso. L’arredamento interno era stupefacente, per via di quella strana semplicità da cui tuttavia traspariva un chiaro senso di potere. La dottoressa era seduta alla destra di quell’uomo, appoggiata comodamente su di un gran cuscino splendidamente ornato. Insieme ad Omar ci sedemmo proprio di fronte a lui; vestiva del tipico abbigliamento del luogo, che gli conferiva un aspetto grandioso, circondato com’era da un’aura di magia.

“Conosce la nostra lingua, non le sarà difficile comunicare con lui”

La dottoressa sembrava realmente a suo agio, mentre io continuavo a guardarmi intorno stupito di tutto ciò che osservavo. Vi erano delle statue, probabilmente raffigurazioni dei loro antenati divinizzati, ma ciò che catturò completamente la mia attenzione furono dei dipinti sparsi senza un apparente logica in tutta la stanza, la cui bellezza mi sembrava assoluta, al di sopra di qualsiasi perfezione.

“Lei è il dottor Scina suppongo”

“Si, sono un archeologo e mi interesso delle opere rupestri presenti in questa zona del deserto...so che lei conosce bene la storia e le usanze del suo popolo, per cui mi chiedevo se potevo avere qualche informazione a riguardo”

“Dottor Scina, la mia gente è solitamente molto restia nel far partecipe delle proprie tradizioni e della propria storia i forestieri, lo capisce questo?”

“So perfettamente ciò che sta dicendo, e lo rispetto a fondo mi creda, ma i miei interessi sono puramente scientifici e sono sicuro che lei potrebbe aiutarmi moltissimo nello svolgimento delle mie ricerche; non ne faccio un questione speculativa”

Mi fissò per vari secondi senza dire nulla e senza mai distogliere il suo sguardo dal mio; era semplicemente impressionante il magnetismo che quell’uomo emanava, e riuscivo a capire perfettamente come potesse essere circondato da tale prestigio all’interno della sua tribù.

“Io la guardo e vedo in lei molta dignità ed onesta, e credo che i suoi fini siano giusti...mi faccia pure le sue domande, tenterò di saziare la sua fame di sapere”

“Lei conoscerà le incisioni e i dipinti su roccia presenti in questa zona, la mia idea di base è che gli autori di questo complesso artistico possano essere in qualche modo i vostri progenitori; molte raffigurazioni ritraggono aspetti della vita quotidiana molto simili ai vostri, ed anche molte divinità incise trovano riscontri interessanti”

“Io le posso raccontare alcune cose, ma è condizione indispensabile che lei apra la sua mente, e la sgomberi da qualsiasi pregiudizio”

“Mi creda, non chiedo altro”

“I nostri antenati, nonni dei miei nonni, hanno fatto più volte riferimento ad effigi lasciate nelle rocce di questa zona, ad onta di una prova inconfutabile delle nostre radici autoctone. Alcune furono realizzate in caverne adibite a rifugi stagionali per le nostre mandrie, altre furono invece messe a guardie di luoghi da noi considerati sacri”

“A quando possono risalire queste raffigurazioni ?”

“Non ci è dato sapere questo, ma tutto ciò fu fatto quando ancora queste zone erano fertili valli ricche di acqua”

“Quindi tutte le opere prodotte avrebbero un significato utilitaristico?“

“Forse lei non può capire quanto e perché i nostri simboli possano avere un significato vitale per la continuazione del nostro gruppo.......essi rappresentano il nostro legame con il passato, ci uniscono ai nostri antenati. I simboli sono il ponte che ci permette di essere una sola totalità con il cosmo”

“Hanno per voi quindi un valore religioso….”

“Sono la religione per noi, sono un complesso di credenze senza le quali non potremmo esistere”

Improvvisamente, ma senza destare alcuna sorpresa in me, si alzò uscendo da quella tenda; era laconico, non concedeva agli altri null’altro che il necessario, formando intorno a sé una coltre di magia impenetrabile. Lo vidi camminare a piccoli passi, ne rimasi totalmente meravigliato. La dottoressa ed Omar si erano limitati ad ascoltare, ma anche loro sembravano catturati da quell’esperienza cosi fuori dal tempo ordinario.

“Non so cosa pensa di tutto ciò dottoressa”

“Nulla che già non sapessi o immaginavo, non mi sorprendono i riferimenti alle incisioni, e non mi sorprende il magnetismo di quell’uomo; solo cosi possono permettersi di essere su di un gradino più alto della loro scala gerarchica”

“Dovrà ammettere qualche riscontro interessante in ciò che ha detto quell’uomo...” obbiettai con una certa foga.

“Penso, dottor Scina, che se lei avesse accennato a strani mostri o uccelli a due teste, avrebbe avuto gli stessi riscontri, ogni popolo plasma le proprie tradizioni adattandosi alle circostanze”

“Ma quelle opere sono reali, non frutto della mia fantasia”

“Il collegamento che fa tra il significato di quelle incisioni e le tradizioni di questi popoli sono per me pura fantasia...….se vuole saperlo, anche mio padre mi raccontava cose simili quando ero bambina, ma credo abbiano lo stesso significato che possano aver avuto per lei le fiabe che le raccontava il suo prima di farla addormentare”

“Noto purtroppo che lavoriamo con due linee di pensiero opposte, inutile continuare questa conversazione”

“Non ne faccia una fatto personale, io l’avevo avvertito sin dall’inizio quale fosse il mio pensiero a riguardo”

“Già, l’aveva fatto...”

Anche la dottoressa ed Omar uscirono dalla tenda; rimasi a contemplare da solo quel luogo che, ne ero certo, non avrei più avuto la possibilità di visitare. Chiuso com’ero in quello spazio limitato, mi sentivo avvolto da un’intensa sensazione di infinito, come se lo spazio ed il tempo avessero di colpo interrotto il loro regolare fluire.

“Apra il suo cuore alla vera conoscenza, accetti che le energie vitali di questi luoghi entrino in lei, liberi la sua anima da influssi negativi e percepirà ciò che è concesso solo agli eletti”. La voce di quell’uomo cosi enigmatico quanto carico di una forte spiritualità, mi prese da dietro senza che io me ne accorgessi; mi girai verso di lui, ma feci in tempo a scorgere solo il suo lungo mantello dileguarsi tra le pieghe sventolanti delle tende.

Partimmo come eravamo giunti, circondati da un disinteresse collettivo; fissai a lungo quel luogo cosi irreale, finquando la lontananza non fece sparire l’ultimo punto del villaggio.



CAP V

I giorni successivi furono molto intensi e ricchi di nuovi ritrovamenti, che andavano ad arricchire il già corposo numero di opere rinvenute fino ad allora. Per lo più si trattava di incisioni parietali raffiguranti animali o scene di pastorizia, pur non mancando qualche esempio maggiormente scenografico, dal significato tutt’altro che chiaro. All’inizio dell’ultimo giorno avevamo studiato più di venti nuovi soggetti, che si andavano ad aggiungere agli oltre trecento già conosciuti, molti dei quali studiati da me in passato.

La zona del primo settore distava ormai un paio di chilometri dal punto in cui si lavorava attualmente, ma il mio pensiero non aveva fatto altro, nell’intero periodo di soggiorno, che ritornare sistematicamente alla barca simbolica ed alla visita all’accampamento Tuareg. Era un’esperienza che mi stava arricchendo non poco, ed era stata certamente la più proficua, da un punto di vista puramente scientifico, degli ultimi anni. Il tramonto ci prese quasi di sprovvista, tant’era la concentrazione che tutti prestavamo al lavoro, e nessuno di noi poté nascondere un senso di grande soddisfazione al termine della spedizione. Quella sera organizzammo una sorta di piccolo party all’aperto, e mancò poco che non fini per danzare sopra la jeep vestito solo del mio fidato cappellino rosso. Anche il Balash, una bibita alcolica prodotta da queste parti, era stato molto gradito, per cui, chi barcollando, chi sostenendosi a vicenda, ognuno rientrò nella propria tenda a godersi un meritato riposo. Rimanemmo io e la dottoressa, che però sembrava come gli altri preda del balash.

“Noto con piacere che si è molto divertita stasera, dottoressa Alexander”

“Avevo un gran voglia di staccare un poco la spina, credo mi abbia fatto bene”. Nel dire quest’ultima parola, dovette appoggiarsi al paraurti della jeep per evitare una rovinosa caduta di testa

“Troppo balash immagino”

“Diciamo un tantino più del consentito.... era molto che non lo bevevo, mi ha preso di sprovvista”

“Vada a dormire, domani si parte, abbiamo la sveglia presto, buona notte”

“Buona notte dottore, a domani”. Lentamente si voltò e si diresse con un fare barcollante verso la sua piccola canadese. Forse mi ero immaginato una conclusione diversa, forse era meglio che finisse cosi, senza alcuna complicazione sentimentale.

Rimasto solo con l’ultimo sorso di balash che giaceva inerme sul fondo della bottiglia, mi incamminai verso quel riparo e verso quell’opera che la mia mente non era stato in grado di dimenticare neanche per un momento. La torcia elettrica non riusciva ad evidenziare quei particolari che solo la luce solare era in grado di sottolineare, e questo, credo, rappresentava una delle meraviglie che si celavano dietro quelle incisioni. La mummia non c’era, forse non c’era mai stata, eppure ciò che avevo provato nel momento della scoperta mi si ripresentava con la stessa forza dirompente. Con un dito della mano destra feci per seguire l’intero contorno della figura, mentre mi tornavano in mente le parole di quel saggio all’accampamento. Non ero riuscito a capire ciò che mi aveva detto, forse si riferiva a qualcosa che dovevo cercare dentro di me, forse era solo una frase priva di senso. Diedi le spalle alla parete, mi voltai per osservarla nuovamente; la torcia rendeva quella figura quasi irreale, malinconica. La spensi per osservare la scena al chiarore di luna, stando immobile a circa un metro dalla barca. Il mio cuore batteva ora come impazzito, non potevo controllare nessun muscolo del mio corpo, era come se dieci uomini mi tenessero immobilizzato contro quella parete. Scorsi dalla penombra una figura bianca, eterea, avvolta da uno strano riflesso di luce azzurra. Era una donna, e il suo esile corpo, avvolto da una fitta serie di bende bianche, rimaneva immobile a circa un metro da me, impossibilitato a qualsiasi movimento. Mi guardò per un istante, mi sfiorò il volto, sparendo con la stessa rapidità con cui era apparsa. Rimasi inerme per non so quanto tempo con lo sguardo perso nel vuoto e la mente ingabbiata in un vorticoso intrecciarsi di pensieri confusi.

“...Apra il suo cuore alla vera conoscenza, accetti che le energie vitali di questi luoghi entrino in lei, liberi la sua anima da influssi negativi e percepirà ciò che è concesso solo agli eletti”. Ricordando le parole di quel vecchio saggio, ebbi come l’accesso al tempio della conoscenza; ora tutto mi era chiaro, limpido; la mia mente, sgombra da ogni pensiero impuro, percepiva quella realtà come fosse propria, entrando in simbiosi con la terra da cui scaturiva quell’antico sapere. La ragazza che mi era apparsa di fronte era lo stesso soggetto che ero riuscito a scorgere sulle pareti in un momento di forte carica emotiva, dove dimensioni temporali opposte si erano incontrate per rendermi manifesta la magia presente in quei luoghi. Mi era apparsa due volte sotto diverse sembianze, aveva attraversato il tempo e lo spazio per farmi partecipe del suo essere, del suo spirito ormai parte di quelle rocce, forse ancora in cerca della propria pace, o forse in cerca del proprio completamento spirituale. Non ho mai saputo spiegarmi perché lei avesse scelto me come testimone della sua presenza, ne ho accettato mai di pubblicare i risultati delle mie ricerche su quell’opera. A distanza di dieci anni conservo ancora tutte le emozioni che sono rimaste in me da allora, e che non mi hanno mai abbandonato. Conservo gelosamente il volto di quella ragazza che per me ha voluto superare le barriere che si frappongono tra passato e presente, per far in modo che anch’io ricevessi la mia iniziazione spirituale, di cui mi aveva parlato il vecchio saggio Tuareg. Avrei voluto conservare il ricordo della dottoressa Alexander, ma l’eccezionalità di quella esperienza ha fatto si che tutto ciò che mi circondava allora passasse in secondo piano. Forse me ne ero innamorato, ma la certezza rimarrà per sempre sepolta all’interno di quel riparo, dove credo di aver lasciato molte delle mie convinzioni giovanili. So che è diventata nel frattempo un personaggio molto apprezzato e richiesto; mi hanno detto che occupa una cattedra alla Sorbona di Parigi, sicuramente il posto più ambito e prestigioso che ci sia in Europa. Ero certo allora delle sue qualità, ne sono ancora più convinto oggi. Per quanto mi riguarda, ho smesso di esercitare la mia professione al ritorno da quel viaggio. Sono passati dieci anni, ma non me ne pento, so che non avrei potuto dare più nulla alla scienza dopo quanto accaduto. In quel luogo cosi sperduto della terra ho perduto la mia vocazione per l’archeologia, ma ho trovato in compenso ciò che mi mancava dentro, ed ora mi sento in pace con me stesso, sicuro di aver trovato la strada che andavo cercando da tempo.


Condividi


Pagine 1
Ciccina.it®  è una realizzazione Art Design
Tutti i diritti riservati.